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ACAB: le impressioni sui primi due episodi della serie Netflix
Alessio Zuccari

ACAB: recensione della serie su Netflix

Tags: ACAB, Adriano Giannini, marco giallini, netflix, valentina bellè
ACAB: le impressioni sui primi due episodi della serie Netflix
ACAB: recensione della serie su Netflix

ACAB: recensione della serie su Netflix

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Alessio Zuccari
Tags: ACAB, Adriano Giannini, marco giallini, netflix, valentina bellè

Ecco il nuovo adattamento seriale del romanzo di Carlo Bonini, che torna a questionare l’uso improprio della forza da parte di quello stato che ne detiene il monopolio.

Dal 2012, anno di uscita del film ACAB – All Cops Are Bastards di Stefano Sollima, molte cose sono cambiate all’interno della Polizia di Stato. Si è dotata del centro di formazione per la tutela dell’ordine pubblico di Nettuno, ha aggiunto nell’equipaggiamento degli agenti antisommossa le bodycam, ha visto l’ingresso nei reparti mobili delle donne. Manca, certo, ancora molto: ad esempio i codici di identificazione alfanumerici da apporre sui caschi. Oppure una capacità da parte dello stato di individuare e sanificare le storture di ambienti ancora camerateschi, ancora ripiegati sul senso di appartenenza a ogni costo e manganellata.

In questo cuscinetto tra il passo in avanti e i passi ancora da fare, si incunea un nuovo adattamento di ACAB, il romanzo scritto nel 2009 da Carlo Bonini. Stavolta sotto la forma di una trasposizione seriale in sei episodi, creata dallo stesso Bonini assieme a Filippo Gravino per Cattleya e Netflix – un decorso, quello del libro-film-serie, simile a quanto già avvenne con un’altra opera di Bonini, Suburra.

ACAB: la trama e i temi della serie

ACAB: recensione della serie su Netflix
Photo Credits: Netflix

Punto di raccordo tra cinema e TV resta Marco Giallini, che in ACAB torna nel ruolo di Mazinga, celerino vecchio stampo con il culto di una fratellanza che confina molto da vicino con la filosofia del branco. È lui uno dei vertici della squadra mobile di Roma sulla quale la serie si concentra, invischiata in procedimenti di inchiesta dopo essere stata coinvolta in violenti scontri in Val di Susa, dove il capo è rimasto gravemente ferito e un manifestante è finito in coma.

“Questa è Roma e Roma non arretra” avvisa allora Mazinga davanti a Marco Nobili (Adriano Giannini), il nuovo caposquadra riformista e più democratico che prende in carico la gestione del gruppo. Dove anche membri come Marta (Valentina Bellè; l’unica donna che durante gli scontri va camuffata, nascosta) o Salvatore (Pierluigi Gigante), gli altri due poli principali dello show, sotto la superficie inscalfibile dei perfetti ingranaggi coltivano invece un decadimento interiore, base su cui poggiano i conflitti dell’intera serie.

Perché dietro al casco ci sono i problemi personali. Sotto al gilet tattico e alla divisa ci sono macerie marcescenti, un privato avvelenato da un lavoro che è spettro infestante anche al di fuori delle mura della caserma. Anzi, soprattutto al di fuori delle mura della caserma. E in questa reinterpretazione seriale di ACAB, scritta oltre a Bonini e Gravino anche da Elisa Dondi, Luca Giordano e Bernardo Pellegrini, molto transita infatti per il rapporto con chi si è al di fuori. Sul come ci si riesce a visualizzare come individuo e non come membro. La capacità fallata di vedere e vedersi è un tema: che va dalla ricerca della registrazione di una bodycam sparita, all’uso dei social, ai servizi dei tg, a chat con una partner mai incontrata dal vivo.

E molto passa pure per il rapporto con chi sta al di fuori, come i figli. Ha un figlio con cui non parla più Mazinga, il cui unico passatempo è accudire piante. Ha una figlia Nobili, a un certo punto colpita da un trauma con il quale il poliziotto fatica a rapportarsi. Ha una figlia pure Marta, che fa da spola con un ex marito con il quale l’agente aveva un rapporto tossico e da cui per anni ha faticato ad emanciparsi. Figli e figlie che sono insomma significante intermedio, soggetti di confine, di rottura, sopra i quali si argomenta la scissione tra gli strumenti d’approccio alle difficoltà ormai inadeguati e le difficoltà di una complessità del presente che chiede un ripensarsi da cima a fondo. Come persone, come forze dell’ordine.

Un ritorno centrato e propizio

ACAB: recensione della serie su Netflix
Photo Credits: Netflix

L’accento di ACAB è quindi quasi interamente sullo stato di stabilità mentale degli agenti. Come a intendere che l’esercizio adeguato della forza passa sicuramente da una corretta interpretazione della norma (alla quale, oggi, le istituzioni fanno sempre più fatica a rifarsi, innalzando barricate di posizionamento politico), ma soprattutto da un’attenta “manutenzione psicologica”, così come la definisce lo stesso Bonini durante la conferenza stampa di presentazione della serie.

E lo show riesce a intercettare lo spirito del tempo con una scrittura composta e non spicciola, che si muove negli interstizi di un mondo di mezzo tra le inquietudini cerebrali e le ritrosie anacronistiche di un Paese in odore di retaggio autoritario. Rimane però il vizio di trascinare, tempi del racconto e di regia, affidata per tutti i sei episodi a Michele Alhaique. Che ACAB mastichi la grammatica pop non c’è dubbio: possiede quel giusto mix di fascino utile a distanziarla a livello visivo e di linguaggio dalla standardizzazione di cui sono spesso vittime i prodotti originali Netflix, così come un portamento accattivante scandito dalla musica elettronica dei Mokadelic (che tornano dopo aver lavorato al film di Sollima, qui tra l’altro come produttore esecutivo).

Tuttavia spuntano qui e lì lunghe code di sequenze in cui spesso c’è meno intensità contenutistica di quanto Alhaique voglia condurci a pensare. Che in questi casi riesce a giocarsela comunque bene perché resta incollato ai volti di grande espressione dei suoi ottimi interpreti – Giallini la stanchezza, Giannini il conflitto, Bellè il dubbio, Gigante il decadimento mentale. Anche se a fare questo lavoro di mescola inscindibile di pubblico e privato resta insuperabile, per densità e articolazione, l’opera degli spagnoli Rodrigo Sorogoyen e Isabel Peña con Antidisturbios: Unità antisommossa. Ciò non toglie che il ritorno di ACAB sia centrato, ben calibrato nel complesso gioco di equilibrio tra l’impegno civile e l’intrattenimento. E forse, a guardarsi attorno, anche propizio.

ACAB è disponibile in streaming su Netflix dal 15 gennaio.

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