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ACAB, una serie "governata dai sentimenti forti di paura e sgomento"
Alessio Zuccari

ACAB, una serie che "scatena il lato peggiore di tutti"

Tags: ACAB, Adriano Giannini, marco giallini, netflix, Pierluigi Gigante, valentina bellè
ACAB, una serie "governata dai sentimenti forti di paura e sgomento"
ACAB, una serie che “scatena il lato peggiore di tutti”

ACAB, una serie che "scatena il lato peggiore di tutti"

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Alessio Zuccari
Tags: ACAB, Adriano Giannini, marco giallini, netflix, Pierluigi Gigante, valentina bellè

Presentata a Roma la nuova serie Netflix alla presenza dei creatori e del cast.

Torna ACAB. Tredici anni dopo il film di Stefano Sollima, sedici dopo l’omonimo libro di Carlo Bonini. Stavolta lo fa con una serie in sei episodi, ideata dallo stesso Bonini assieme a Filippo Gravino e prodotta da Cattleya, che sarà disponibile integralmente su Netflix a partire dal 15 gennaio. “Il tema di fondo e i conflitti sono rimasti gli stessi” spiega Bonini in occasione della presentazione stampa dei primi due episodi della serie. “Parliamo ancora del rapporto con il conflitto, del rapporto tra sicurezza e libertà, tra ordine e caos”.

Ma nonostante la matrice alla base di questo nuovo progetto, a cui in scrittura si uniscono anche Elisa Dondi, Luca Giordano e Bernardo Pellegrini, rimanga la stessa, la storia si aggiorna. Al centro del racconto c’è infatti uno scontro finito male tra celere e manifestanti in Val di Susa, in cui un giovane No TAV viene aggredito dalla squadra antisommossa della polizia e va in coma. “In un contesto come quello che sta attraversando il nostro paese in questo momento” continua Bonini, “il nostro obiettivo era consegnare a chi guarda un racconto che sollecita ciascuno a uscire, a prescindere dalle idee che coltiva, dalla propria zona di comfort. La sfida era prendere queste convinzioni e metterle in discussione, mostrare la contraddittorietà”.

Interrogato su cosa sia cambiato nel contesto sociale e politico tra ieri e oggi, lo scrittore e ideatore della serie aggiunge: “Nel 2008 del libro la polizia italiana era reduce dal disastro del G8 di Genova. Oggi rispetto a 14 anni fa c’è una consapevolezza diversa, ci sono strumenti diversi, come ad esempio la scuola di ordine pubblico della polizia di Nettuno. Ai tempi non c’erano donne, non c’erano boydcam. Ma mancano ancora delle cose, come i codici alfanumerici di identificazione. Però quando accade qualche evento c’è sempre un riflesso pavloviano dove ci si schiera a favore o contro la polizia. Come nel caso di Ramy Elgaml: c’è solo da capire se chi ha inseguito si è comportato secondo le regole oppure no. Io penso che proprio perché lo stato ha il monopolio della forza, lo stato deve essere rigoroso lì dove l’esercizio di quel monopolio non è adeguato. Perché da qui si ricostruisce il rapporto di fiducia tra istituzione e cittadino”.

Tra il prima e il dopo

ACAB: il trailer della nuova serie italiana in arrivo su Netflix

In ACAB allora ruotano vicende e volti, tra cui torna però curiosamente quello di Marco Giallini, che riprende il ruolo del poliziotto ‘Mazinga’, veterano della vecchia guardia. “A dire il vero mi ricordavo poco il ruolo interpretato nel film” spiega l’attore quando gli viene chiesto se abbia cercato un punto di contatto per riprendere questi panni. “Di quel Mazinga era diverso tutto, persino la voce. Questo personaggio l’ho sentito diverso. Mi sono allontanato mentalmente, ho cercato di ripensarlo sfruttando proprio questa mia ‘dimenticanza’”.

Tra le new entry di maggior rilievo c’è invece Adriano Giannini, nel ruolo di Michele Nobili, rappresentante di una polizia nuova, riformista. “Michele incarna il conflitto” spiega Giannini. “Inizialmente ha un pensiero diverso rispetto alla gestione dell’ordine, più progressista e democratico. Ma questo pensiero lo esilia. Dentro ha poi un secondo grande conflitto, che è quello di trovarsi nella piazza di Roma, la più complessa rispetto a come lui ragiona il suo lavoro. E poi ne ha anche un terzo, forse quello più importante, quando a un certo punto della serie mette in discussione tutto quanto rispetto al come e quando agire”.

E poi c’è anche l’importante figura di Marta Sarri, interpretata da Valentina Bellè, unica donna del reparto. “Sono ancora molto poche le donne che fanno questo mestiere” riflette Bellè. Che poi ragiona su come ha approcciato Sarri: “Ho cercato di eliminare il più possibile il lato femminile del personaggio, che arriva anche da una relazione tossica e violenta. Insieme agli sceneggiatori e al regista abbiamo pensato Marta come una figura che per schermarsi si avvicina al maschile, a questo lato testosteronico”.

Perché raccontare la dualità, l’interiore che spesso riflette in maniera e contraddittoria l’interiore, era uno degli obiettivi dichiarati della serie. Lo afferma anche Michele Alhaique, regista delle sei puntate di ACAB. “Mi ha colpito subito la possibilità di costruire due sfere, quella privata e quella pubblica con la divisa addosso. Ma l’alternanza non bastava. Così sono partito dalla fine, cioè dalla musica dei Mokadelic, ai quali ho chiesto già prima delle riprese di comporre dei suoni ripetuti, algoritmici, che poi ho usato in cuffia. Quel suono lì mi ha aiutato a costruire una messa in scena non necessariamente naturalistica, perché volevo inseguire qualcosa di intimo, un movimento interiore”.

Presente in conferenza poi anche lo stesso Sollima, che della serie figura come produttore esecutivo. “ACAB è un film che mi ha fatto ritrovare nel tempo l’attenzione al punto di vista e all’approccio nel racconto, il concentrarsi sui personaggi, senza giudicarli mai” riflette il regista. Che poi ricorda l’accoglienza che ottenne ai tempi: “Già solo il titolo fece girare coglioni a tutti. Ancora prima che il film uscisse, siamo stati contestati da chiunque, dalla polizia, dai centri sociali, dai No TAV. La cosa bella di ACAB è che scatena il lato peggiore un po’ di tutti. Avevamo anche gli striscioni nelle curve. E nessuno aveva ancora visto il film”.

ACAB è in streaming su Netflix dal 15 gennaio.

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