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Alessio Zuccari
Venezia81 | Beetlejuice Beetlejuice: recensione del sequel di Tim Burton
Tags: beetlejuice beetlejuice, jenna ortega, michael keaton, monica bellucci, tim burton, winona ryder
Beetlejuice Beetlejuice è una gran bella boccata d’ossigeno, o di vapore miasmatico se si preferisce, per chiunque sia fan di Tim Burton. Occorre gioirne: il regista dell’horror gotico e svampito è tornato in sé dopo un lungo esilio durato, anno più anno meno, almeno una decade. Tanti passi incerti e una quasi fatale, artisticamente parlando, collaborazione sotto l’egida di Disney hanno minato la fiducia nell’estro del regista statunitense, che ha ritrovato il sé viaggiando a ritroso nella sua quasi quarantennale carriera.
Cruciale allora è stato il ricongiungersi all’interprete di uno dei suoi personaggi più iconici, Michael Keaton, il cui nome campeggia ancora prima del titolo del film che ha oltretutto ottenuto il buffo privilegio di aprire, da Fuori Concorso, il Festival di Venezia 2024. Complice sicuramente il cast da glamour della prima occasione, vanto di un’opera che conta sul ritorno da protagonista pure di Winona Ryder e poi di Catherine O’Hara.
Quasi quarant’anni sono infatti passati anche dalle parti della bislacca Winter River, dove Lydia Deetz (Ryder) viaggia per celebrare il funerale del dipartito padre. Ragazza gotica era e donna gotica è rimasta, ancora capace di avvertire la presenza del mondo dei morti e la fastidiosa presenza del lurido demone. A sfruttarne l’apparenza c’è il compagno e manager Rory (Justin Theroux), che ne ha capitalizzato le doti da medium mettendola a presentare un programma TV sui fantasmi. Nel frattempo però Lydia mantiene un rapporto altalenante con la matrigna Delia (O’Hara, mattatrice) e fatica a comunicare con la figlia adolescente Astrid, la new entry Jenna Ortega.
Dopotutto era impensabile riproporre un sequel come Beetlejuice Beetlejuice, a trentasei anni di distanza dall’originale, senza alzare un occhio a guardare quali siano le icone di genere del presente. Di certo c’è voluto poco perché quell’occhio cadesse proprio su Ortega, incoronata novella scream queen già dentro a franchise horror storici come la saga di Scream e rampanti nuove iterazioni quale lo è di certo X – A Sexy Horror Story, primo capitolo dell’apprezzatissima trilogia di Ti West in sodalizio con Mia Goth. Con il sigillo, ovviamente, ottenuto con il ruolo protagonista in Mercoledì, altro grande racconto gotico rivisitato per la Gen Z al quale Burton ha partecipato da regista dei primi due episodi e sul quale egli stesso afferma di aver ritrovato il piacere di fare ciò che più gli piace fare.
Il regista attinge dunque di nuovo al repertorio delle cose che gli sono a cuore, a partire proprio dai personaggi rotti, spezzati, smembrati e sbagliati, il più possibile nel tangibile dell’analogico e dell’animatronic (ma con una buona dose di effettistica visiva), transitando per effetti prostetici che sanno di fluidi e sanno di puzzo, in una fiera del grottesco in cui convergono, in fondo, fiabe nere d’amore trovato e riscoperto. Come quello che ossessiona proprio il lercio Betelgeuse, nelle forme fatte a pezzi e poi riassemblate di Monica Bellucci, che veste i panni di una fatale sposa cadavere (si cita da solo? Sì) che lo bracca per reclamarne dopo secoli la promessa fatta all’altare. Oppure quello tra Astrid e Jeremy (l’esordiente Arthur Conti), altro adolescente che forse nasconde qualcosa dietro al suo accogliente sorriso.
Per una serie di ragioni, frammentate nella sceneggiatura di Alfred Gough e Miles Millar in tante piccole, rapide (a volte troppo) sottotrame per ogni personaggio, Lydia si ritrova a stringere un patto con Betelgeuse e a capitombolare nel mondo dei morti, più esplorato e raccontato rispetto al primo film. Ed è interessante vedere nel 2024 tornare sullo schermo un personaggio esteticamente e moralmente rivoltante come quello di Betelgeuse, che il sottotitolo italiano del primo film appellava come spirito porcello e che oggi non faremmo fatica a definire tranquillamente stalker e molestatore. Beetlejuice Beetlejuice chiaramente ne è cosciente, e allora su questa consapevolezza scherza sopra, furbescamente mitigando (parlando di traumi e terapie e con meno gesti osceni) l’inaccettabilità delle gesta di un personaggio che si ritrova a spartire spazio ancor più che in passato con gli altri personaggi.
Keaton non ha perso né voglia né smalto nell’affrontarne l’interpretazione, in perfetto coro con il parterre di individui gustosamente (o disgustosamente, sta a voi) folli che gli sta attorno. Tra cui sono da segnalare anche un come al solito formidabile Willem Dafoe, nella parte di uno spassoso attore-poliziotto dell’aldilà e un simpatico cameo di Danny DeVito. Beetlejuice Beetlejuice, con la colonna musicale dell’inconfondibile Danny Elfman, diverte e si diverte, lavorando sulle piccole trovate che caratterizzano un film intero (la storica casa dei Deetz infiocchettata a lutto, il Soul Train) e lo rendono lo spassoso e sconclusionato divertissement con cui un regista può finalmente tornare a sorridere. A chi lo segue, ma forse soprattutto alla sua arte.
Beetlejuice Beetlejuice è al cinema dal 5 settembre con Warner Bros. Italia.