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#RoFF19: Berlinguer - La grande ambizione, recensione del film di Andrea Segre
Alessio Zuccari

RoFF19 | Berlinguer - La grande ambizione, recensione del film di Andrea Segre

Tags: Andrea Segre, Berlinguer - La grande ambizione, elio germano, festa del cinema di roma, RoFF19
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RoFF19 | Berlinguer – La grande ambizione, recensione del film di Andrea Segre

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Alessio Zuccari
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Elio Germano è il celebre leader del Partito Comunista Italiano nel film di apertura della 19° edizione della Festa del Cinema di Roma.

Berlinguer – La grande ambizione di Andrea Segre arriva un po’ in controcanto all’Esterno notte di Marco Bellocchio. Non nel confronto di forma o stilistico, in quello sono opere che parlano due lingue del tutto diverse. Per di più la prima è un film, la seconda una serie. Quanto allora nel dar voce a quel protagonista della seconda metà del Novecento, il segretario del Partito Comunista Enrico Berlinguer, che nel lavoro di Bellocchio compariva per una manciata di istanti e restava silente davanti all’Aldo Moro di Fabrizio Gifuni.

Sono infatti quelli di questi due i nomi che hanno danzato la stessa scivolosa, complessa, persino fatale ‘grande ambizione’, quella del Compromesso storico, negli anni Settanta di un’Italia funestata dallo stragismo nero e rosso e dalle lunghe ombre delle ingerenze straniere. Per Moro, con il volto di Roberto Citran, quella degli Stati Uniti, con (andreottiani) occhi, orecchie e mani sulle sorti della Democrazia Cristiana e quindi sul governo del Paese. Per Berlinguer, interpretato da Elio Germano nel film di Segre presentato in Concorso alla Festa del Cinema di Roma 2024, quella di Mosca e del suo regime sovietico, che non concepisce altra forma d’applicazione della dottrina comunista al di fuori della dittatura.

«Avanzare» in una nuova idea del domani

#RoFF19: Berlinguer - La grande ambizione, recensione del film di Andrea Segre
Photo Credits: Lucky Red

«Voi e le vostre plutocrazie democratiche» commenta piuttosto schifato il presidente della repubblica bulgaro Todor Živkov (Svetoslav Dobrev) davanti all’affermazione di Berlinguer di credere, sempre e comunque, nella partecipazione popolare e repubblicana. È il 1973, il primo dei cinque anni che Berlinguer – La grande ambizione attraversa nel ricostruire la figura del leader durante il decennio più caldo, e probabilmente cruciale, per quello che sarebbe poi stato il futuro del nostro Paese.

I due lati dello schieramento della Guerra fredda li abbiamo detti, con in mezzo appunto un Berlinguer in cerca d’emancipazione dal pensiero dogmatico e paternalista dell’URSS, da ristrutturare in un compromesso – quello storico appunto – atto ad arginare anche la pressione dell’ala fascista e della sua idea sommersa di colpo di stato. Un pensiero da far soprattutto «avanzare», come sottolinea il segretario a più riprese, verso un’idea di socialismo progressista e sostenibile in un Paese occidentale e a cui tutto il mondo guarda come laboratorio, come alternativa.

Il problema maggiore del film, che si interrompe bruscamente in quel 1978 che vede il rapimento di Moro, la sua uccisione e con esso l’inizio del declino della speranza di governo comunista in Italia, sta però nello svelamento di una natura didattica nemmeno poi così celata. Nomi, date, luoghi, situazioni e intenti espressi chiari e tondi da quei nomi, in quelle date e in quei luoghi, con un’impostazione drammaturgica atta a tracciare i contorni di una matrice politica, finanche filosofica e umana. Certo è che il didattico confina per un pugno di dita con il didascalico e il programmatico, e così Berlinguer – La grande ambizione finisce per ungersi la punta delle scarpe.

Il problema del linguaggio scolastico

#RoFF19: Berlinguer - La grande ambizione, recensione del film di Andrea Segre
Photo Credits: Lucky Red

Il parruccone in testa a Germano riassume un po’ questa natura di opera dai sentimenti scolastici, con l’attore che comunque non si risparmia (ma non lo scopriamo con questo film) nemmeno nei momenti in cui il suo Berlinguer è accerchiato da un irrigidimento enunciativo della sceneggiatura, scritta dello stesso Segre assieme a Marco Pettenello. Possibile che una figura di tale statura possa essere raccontata, anzi sarebbe meglio dire tramandata, solamente con un grigiore e una pianezza (pure estetica) mai davvero più arricchente di un libro di testo? C’entra, magari, la natura da documentarista di Segre. Ma paradigmatico è il rapporto di Berlinguer con la propria famiglia e moglie (Letizia Laurenti), anche qui tutto in descrizione e mai realmente in empatia.

Ecco, in questo sì che appare dunque inevitabile fare paragoni con l’irruenza, la ferocia, la spietatezza persino, di racconti modernissimi e mordaci come lo stesso Esterno notte. Oppure M – Il figlio del secolo, per restare nell’ambito delle figure chiave di questo Paese e la necessità del loro venir approcciate, decostruite, ricomposte con un linguaggio anche pop. Entrambi due racconti seriali: non può essere un caso.

Berlinguer – La grande ambizione ha insomma il pregio di raccontare, oggi, nel clima di disaffezione partecipativa e di generale scarsezza qualitativa dei leader politici contemporanei, una delle ultime grandi guide del Novecento. Resta però la sensazione che si sarebbe potuto, e forse dovuto, farlo con un approccio meno ostinatamente ancorato alla concezione sacro-istituzionale del ritratto storico.

Berlinguer – La grande ambizione è al cinema con Lucky Red dal 31 ottobre.

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