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Campo di battaglia: recensione del film di Gianni Amelio
Alessio Zuccari

Venezia81 | Campo di battaglia: recensione del film di Gianni Amelio

Tags: alessandro borghi, campo di battaglia, Gabriel Montesi, Gianni Amelio
Campo di battaglia: recensione del film di Gianni Amelio
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Alessio Zuccari

Venezia81 | Campo di battaglia: recensione del film di Gianni Amelio

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Alessandro Borghi e Gabriel Montesi protagonisti tra morale e dovere nel nuovo film storico del regista italiano.

In Campo di battaglia di Gianni Amelio ci sono due film. Il primo è il racconto di etica e morale in un ospedale militare ai tempi della Prima guerra mondiale, in cui si intersecano le vicende umane e sentimentali di due medici amici ma diversissimi. Il secondo è quello dello sfondamento della Storia, che contamina irrimediabilmente i suoi protagonisti. Il regista torna in Concorso al Festival di Venezia 2024 a distanza di due anni dalla sua ultima volta, dove era presente con Il signore delle formiche. E la sceneggiatura di questa sua nuova opera, scritta assieme ad Alberto Taraglio, recupera quel metodo d’indagine drammaturgica volto a procedere dal personale al collettivo che Amelio ha esplorato anche nel film precedente ancora, Hammamet.

Di uniformi e Italia senza italiani

Campo di battaglia: recensione del film di Gianni Amelio
Photo Credits: 01 Distribution

In primo piano c’è allora la relazione d’affetto e d’afflizione intimo tra Giulio (Alessandro Borghi) e Stefano (Gabriel Montesi). Entrambi sono medici militari e si conoscono da una vita, ma Giulio, di estrazione sociale popolare, è più curioso, empatico e pratico (forse persino più egoista?), mentre Stefano rappresenta un’alta borghesia contraddittoria (ha un pessimo rapporto con il paterno) con ideali tanto elevati, quanto lontani dalla realtà effettiva, di dovere e senso della giustizia. Tra i due c’è stima ma anche una inconciliabile distanza nel concepire il proprio mestiere e il proprio giuramento. Viene prima quello di Ippocrate o quello alla patria? I soldati che arrivano nei letti di questo ospedale vanno salvati e ricuciti per essere rimandati a casa oppure al fronte?

Quello di Campo di battaglia è il proscenio per i movimenti ampi di una società divisa, ancora spaccata nelle profonde differenze che caratterizzano una repubblica giovane a cui mancano da farsi gli italiani, che nelle uniformi degli ufficiali e dei soldati di leva evidenzia cosa sia il nord e cosa sia il sud. Amelio ingaggia questa riflessione attraverso i sommovimenti amorosi tra i suoi personaggi, arrivando a sorvolare l’idea di un triangolo inesploso (o imploso nelle sue traiettorie imbrigliate tra i denti) quando entra in scena pure Anna (Federica Rossellini), simbolo di un femminile al quale anche l’eccellenza non basta per eccellere in un mondo oltretutto di soli uomini.

E questi tre interpreti fanno grande lavoro di prestazione – nonostante il gesto controllato e collaudato in cui Amelio talvolta costringe la recitazione dei suoi attori –, con un Borghi che si cala nel personaggio con profondità mimetica, arrivando ad alterare con grande predisposizione al mestiere nervi, corpo e voce. Montesi invece è il perfetto attore dalla forma mercuriale, che dove lo metti sta e già calca la sua nuova identità, vero grande talento del nostro cinema attuale e soprattutto del futuro.

Una storia o la Storia?

Campo di battaglia: recensione del film di Gianni Amelio
Photo Credits: 01 Distribution

Solo che la discesa nel cunicolo chiaroscurale (fotografia di Luan Amelio Ujkaj) in cui vorrebbe condurre Campo di battaglia, il film non risolve mai con chiarezza il suo mediare tra l’intimo e lo storico. Ci si scende letteralmente, quando Giulio viene confinato a lavorare nelle stanze umide di un forte militare semi-diroccato. Assieme a lui i malati della febbre spagnola che invade all’improvviso, moribondi abbandonati al proprio destino nella speranza che il medico, reo di aver aiutato chi non avrebbe dovuto, riesca a sintetizzare una cura. Ma l’ordine impartitogli da Stefano, in un imperativo che risponde al suo mantra del «combattere è necessario», è probabilmente più una lenta condanna a morte.

Tutto questo, che avviene nell’ultimo terzo del film, assume però i contorni discontinui di un avvicinamento alla risoluzione narrativa che aprirebbe a un racconto differente. È un orientamento che già viziava il precedente Il signore delle formiche: l’arrivo vero e proprio della scure della Storia è irrisolto, scalzato indietro. Il che sortisce il doppio effetto di lasciare sospeso il lato umano, ingessato dal cambio di prospettiva, e così pure quello del conto pagato dalla nazione, messo in formaldeide dall’indecisione con cui si sta parlando di cosa. Restano i detriti, ma da essi si rimane a distanza, incerti su quale sia la maniera più giusta per conoscerli e smaltirli.

Campo di battaglia sarà al cinema dal 5 settembre con 01 Distribution.

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