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Citadel: Diana, recensione della serie Prime Video con Matilda De Angelis
Alessio Zuccari

Citadel: Diana, recensione della serie Prime Video con Matilda De Angelis

Tags: Citadel: Diana, Lorenzo Cervasio, Matilda De Angelis, Maurizio Lombardi, prime video
Citadel: Diana, recensione della serie Prime Video con Matilda De Angelis
Citadel: Diana, recensione della serie Prime Video con Matilda De Angelis

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Alessio Zuccari
Tags: Citadel: Diana, Lorenzo Cervasio, Matilda De Angelis, Maurizio Lombardi, prime video

Lo spin-off della spy story dei Fratelli Russo arriva in Italia con una sua storia e suoi personaggi.

Citadel: Diana immagina l’Italia del 2030 come una polveriera politica e sociale. C’è sempre più polizia per le strade, c’è sempre più vigilanza, ci sono zone sicure nelle città e dietro l’angolo si affaccia una maggiore legalizzazione delle armi. Questo perlomeno in superficie, perché sotto le cose non vanno tanto bene nemmeno per chi vive nell’ombra. La serie, costola dell’originale americano Citadel dei Fratelli Russo e sviluppata da Alessandro Fabbri per Prime Video, guarda infatti a ciò che sta succedendo a Manticore Italia.

La super agenzia segreta e criminale è ai ferri corti con le sue due consorelle di Francia e Germania, in una simulazione della perenne discordia europea dove i tre Paesi di maggior peso nel vecchio continente si fanno le scaramucce e tirano colpi mancini. Di mezzo, come al solito, c’è un’arma definitiva e in grado di stravolgere le carte in tavola. La vogliono tutte e tre, ma Francia e Germania la nascondono all’Italia, che prova a soffiargliela sotto il naso e usarla loro contro. Insomma, il canovaccio è il solito del racconto d’azione e spionistico (showrunner Gina Gardini), che vede in questa occasione protagonista Matilda De Angelis nei panni di Diana, agente di Manticore che fa però un gioco doppio, triplo, quadruplo. Di fondo, si scopre immediatamente, ha però una solo lealtà: quella a Citadel, alla quale l’ha introdotta il mentore Gabriele (Filippo Nigro).

Parola d’ordine: glocal

Citadel: Diana, recensione della serie Prime Video con Matilda De Angelis
Photo Credits: Prime Video

Da ammettere che è sicuramente interessante che un progetto su grande scala come quello di Citadel abbia scelto per uno dei suoi due spin-off proprio l’Italia (l’altro è quello indiano, Citadel: Honey Bunny). Ma al di là del tifo patriottico c’è poco da fare: Citadel: Diana è in continuo affanno. Se già la serie di partenza non brillava certo per originalità di intreccio o di lavoro sull’intrattenimento (i Russo facevano un po’ troppo i Russo), in questa iterazione nostrana si avverte costantemente la necessità dello show di aderire a dei canoni di riconoscibilità italiana all’estero in nome del glocal.

Il punto è evidente, si può fare la serie d’azione ad alto budget nello stivale, ma con applicato un filtro di neutralità (nell’estetica, nello sguardo, nelle scenografie, nei costumi) che ne pialla di continuo la caratteristica. In questa direzione veleggia la scelta di ingaggiare De Angelis, volto sensato per l’operazione avendo l’attrice già varcato i confini nazionali ed essere ricorrente nelle produzioni delle piattaforme. Ma anche quella di radicarsi a Milano come città chiave degli avvenimenti, cartografata pigramente nella maniera più identificabile (piazza del Duomo) e metropolitana (i palazzoni, le vetrate) possibile.

Il grande problema della non-lingua

Citadel: Diana, recensione della serie Prime Video con Matilda De Angelis
Photo Credits: Prime Video

E mentre in questa città la famiglia degli Zani tenta di tenere salde le redini del comando di Manticore Italia, con un figlio (Lorenzo Cervasio) che non condivide le scelte del padre (Maurizio Lombardi, in eleganza quasi da villain bondiano), non si scansa nemmeno l’ombra della soap. Tra una sparatoria e l’altra – avremmo voluto aggiungere l’aggettivo avvincente, ma purtroppo… – sotto la regia di Arnaldo Catinari, si affastellano intrighi e disobbedienze, con divergenze di cuore piane, frigide, senza sussulti e, figurarsi, soprattutto senza la minima ombra di pathos o erotismo.

Nel mezzo di ciò, in Citadel: Diana ruolo primario e al negativo lo gioca sicuramente la piaga insolvibile del falso linguaggio. Ovvero quell’impostazione dialettica e sonora negli scambi tra personaggi che parlano un italiano artefatto, che ha la pulizia della lingua priva delle inflessioni dialettali (tranne quello siciliano: come esimersi dalla macchietta) ma allo stesso tempo utilizza espressioni e terminologie che nessuno si sognerebbe di utilizzare.

Allora, è chiaro, lo si comprende, è un ibrido funzionale al diktat di piattaforma streaming: rivolgersi a un pubblico internazionale e trasversale. Eppure questa non-lingua costringe gli interpreti in una zona grigia dove appassiscono tratti emotivi, lavoro sulle personalità e la possibilità di prendere sul serio (quantomeno per lo spettatore italiano), fosse anche solo per un secondo nei momenti più cruciali, le cose che si stanno dicendo. E se tutto, o quasi, è studiato al servizio della conformazione a un altro standard, nel quale gli altri sono più bravi, più avvezzi o magari più efficienti nel dispiego di mezzi, è normale uscirne fuori così, in sbiadita e soporifera copia carbone. Se ci fosse un’etichetta sopra, non ci stupirebbe trovarci applicato il bollo di Official Parmesan.

Citadel: Diana, composta da sei episodi, sarà in streaming su Prime Video dal 10 ottobre.

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