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Cristiana Puntoriero

Città in fiamme: recensione della serie Tv su Apple Tv+

Tags: apple tv+, Recensione, serie tv
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Cristiana Puntoriero

Città in fiamme: recensione della serie Tv su Apple Tv+

Tags: apple tv+, Recensione, serie tv

Dal 12 maggio su Apple Tv+ arriva anche Città in fiamme, la nuova serie del creatore di O.C e Gossip Girl Josh Schwartz, che adatta per la tv il romanzo omonimo di Garth Risk Hallberg. Nel cast anche John Cameron Mitchell, Jamima Kirke, Nico Tortorella.

La trama di Città in fiamme:

Una studentessa della New York University viene uccisa a Central Park il 4 luglio 2003. Samantha è sola, non ci sono testimoni e gli indizi sono pochissimi. Quella sera, la band dei suoi amici suona in un locale in centro, ma lei esce per incontrare qualcuno dicendo che tornerà presto. Non tornerà più. Dalle indagini sull’omicidio emerge che Samantha è il collegamento tra una serie di misteriosi incendi che divampano in tutta la città, la scena musicale di downtown e una ricca famiglia di proprietari immobiliari dell’uptown, logorata dai molti segreti che nasconde.

La recensione di Città in fiamme:

Ce ne vuole, e tanto, di coraggio (o sfortuna) per presentare in un pilot solo un numero X di personaggi e renderli tutti spiacevolmente antipatici al limite dell’irritante. Quei sei, sette caratteri principali che muovono i fili dietro il whodunit Città in fiamme, il nuovo titolo seriale di Apple Tv+ tratta dal romanzo di Garth Risk Hallberg, sono tutti, dal primo all’ultimo, la caricatura insopportabile di alcuni dei più tradizionali cliché narrativi di quei prodotti che intendono far capolino nel catalogo mensile proponendo una scialba e trita commistione di generi fra il crime/giallo e il coming-of-age adolescenziale.

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Credits: Apple TV+

Josh Schwartz: era meglio The O.C.

Il primo episodio della serie, creata per altro da Josh Schwartz, uno che i teen-drama li ha quasi inventati con due pilastri della tv quali The O.C. e Gossip Girl, inizia mettendo in chiaro la sua duplice identità. Da una parte viene mostrato l’arrivo della polizia in un quartiere dell’Upper East Side di New York dopo che un giovane insegnante di colore (Xavier Clyde) trova in un parco una ragazza colpita da un proiettile in testa e agonizzante. I due si sono incontrati poco prima per caso: il primo si dirigeva verso un esclusivo party di una famiglia di imprenditori noti in città, e l’altra era in attesa di salire su un autobus per chiarirsi con l’uomo, sposato e padre, con il quale ha intrattenuto una relazione clandestina.

Prima ancora di quell’incontro però, Sam (Chase Sui Wonders), così si chiama la vittima, era ad una festa in un club di musica rock assieme al suo migliore amico Chris (Wyatt Oleff), conosciuto in un negozio di dischi e friendzonato ampiamente con costanza e un pizzico di cattiveria. L’incontro e il legame sempre in bilico fra BBF e sentimento non espresso, ci viene mostrato in un montaggio patchwork che già ci fa intuire quanto ancora (in)sofferenza ci attende. Sembra il trailer di un film d’esordio di alunni al Sundance, in cui lei, artistoide e cazzuta, incontra lui, impacciato dal cuore di panna, e passano l’autunno a Brooklyn mostrando al mondo la loro stramba unicità: ascoltano musicisti sconosciuti, si fotografano di nascosto a vicenda, fanno shopping vintage, il tutto con una soundtrack indie rock che verrà reiterata a più riprese per tutte le altre puntate.

Senza il peso di personaggi attraenti, l’adattamento di Città in fiamme è un falò (spento) di ferragosto

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Credits: Apple Tv+

Ma non è la sola cosa del tutto poco attraente. Perché Città in fiamme, nel mettere assieme i pezzi di un puzzle dalle tante microstorie e chiarire la loro interconnessione al crimine – insomma è chiaro come la rivelazione delle modalità e delle responsabilità di quel proiettile in testa siano il senso ultimo dell’intreccio – ci mostra un’ambiente musicale e giovanile di sottocultura punk politicizzata, (il gruppo di amici di Sam che appiccheranno gli incendi da cui il titolo) a cui manca fondamentalmente l’anima e la credibilità; l’essenza rivoluzionaria e ribelle, ristretta in una rappresentazione sbrigativa estetico-iconografica riposta in pettinature e look esagerati, atteggiamenti autolesionisti e narcisisti, e tutto l’immaginario iconico di band degli anni Settanta.

Per quanto il libro di Hallberg contenga in sé tanti elementi interessanti (la gentrificazione; l’arrivo dell’epidemia dell’AIDS; gli Stati Uniti post 11 settembre), l’adattamento di Josh Schwartz, Stephanie Savage e Jesse Peretz fatica molto a tenerli uniti, sforzo soprattutto nel far emergere il ritratto più empatico dei personaggi in campo e le loro singole parentesi all’interno della storia più ampia, decretando la riuscita a metà di un titolo che dovrebbe esplodere come un fuoco d’artificio e invece arranca come il falò di ferragosto.

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