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Cyrano, recensione: molto di più di un apostrofo rosa tra le parole "t'amo"
Tags: Cyrano, cyrano peter dinklage, cyrano recensione, Peter Dinklage
In Cyrano il pluripremiato regista Joe Wright trascina gli spettatori in una sinfonia di emozioni attraverso la musica, il romanticismo e la bellezza, rileggendo in chiave cinematografica la storia senza tempo di uno dei più celebri e travolgenti triangoli amorosi di sempre. Un uomo all’avanguardia rispetto alla sua epoca, Cyrano de Bergerac (Peter Dinklage), incanta il pubblico sia con brillanti giochi di parole nelle sfide verbali che con la sua abilità con la spada nei duelli. Cyrano non ha avuto il coraggio di dichiarare i suoi sentimenti alla splendida Roxanne (Haley Bennet), convinto che il suo aspetto fisico non lo renda degno dell’amore della sua più cara amica. Lei, però, si è innamorata a prima vista di Christian (Kelvin Harrison)…
Il tappeto rosso della sedicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, andato in scena a ottobre nella capitale, si è tinto di rosa: è passato in concorso, nella Selezione Ufficiale, il musical drama Cyrano, con Peter Dinklage e Haley Bennet. La storia la conosciamo bene. L’abbiamo studiata a scuola e, paradossamente, ne abbiamo apprezzato quasi ogni verso grazie ad Aldo, Giovanni e Giacomo. Chi non ha mai visto Chiedimi se sono felice?. Ma questo Cyrano è quello autentico, quello senza “K”, per capirci.
Cyrano de Bergerac è una celebre commedia teatrale in cinque atti firmata da Edmond Rostand e ispirata alla figura di Savinien Cyrano de Bergerac, fra i pi? estrosi scrittori del Seicento francese.
Nel tempo, tanti sono stati i rifacimenti e le contaminazioni in vari campi artistici per quest’opera ormai universale. Prima ancora di Joe Wright, e di recentissima fattura, ci sembra doveroso citare Cyrano, Mon Amour, una pellicola di genere commedia del 2018, diretta da Alexis Michalik, con Thomas Soliv?r?s e Olivier Gourmet. Qui si racconta con molta suggestione di come probabilmente Edmond partor? l’opera. Ovvero, volendo narrare una passione per una donna con la quale sentiva profonde affinit? elettive.
Un desiderio che non potè avere compimento ma che restò inappagabile e ricco di turbamento nei confronti di costei. Nell’aiutare un amico a conquistare questa dama meravigliosamente bella, egli si innamora di lei e si nasconde dietro di lui facendo dire a questi quello che vorrebbe dirle. Una sorta di amante platonica, perché lui, sposato con prole, non riesce a far altro, se non innamorarsi, con le sue vene romantiche, di lei come fosse una musa intangibile e dalla vitale libertà.
Come rappresentasse un’idea che risveglia, che fa sognare e tende sempre a farci avvertire luminosi. Un sentimento intenso di innamoramento, indispensabile per essere felici, perch? se non ci si sente innamorati, che felicit? c’è? E per questo che Cyrano non smette mai di emozionare con il suo amore per Rossana, perch? ella non ? una donna, ma una dea, un’immagine romantica che, non potendo mai essere toccata, si presenta cos?: come una divinit? che Rostand venera con i suoi versi, e a cui tutti aspiriamo perché, a ben vedere, ci fa sentire vivi nel museo degli adulti.
Quando incontriamo per la prima volta Cyrano (Peter Dinklage) nell’adattamento di Joe Wright, egli è un estroverso e appassionato amante del teatro, il tipo di uomo che preferirebbe rimborsare il pubblico piuttosto che donargli uno spettacolo scadente. Cyrano viene introdotto da una voce tonante, possente e dominante: la sua grandezza ci viene mostrata ancor prima del suo aspetto. Tuttavia, non ci vuole molto prima che un membro del pubblico definisca Cyrano un mostro e lo sfidi a duello, provocando risate negli spettatori, sapientemente mitigate dall’autoironia dei versi citati e cantati dallo stesso Dinklage. La potenza del Cyrano di Wright è tutta lì, in quel profondo dolore causato da (pre)giudizio e flebile speranza.
L’amore, si sa, è un’arma a doppio taglio: se da una parte dà, dall’altra toglie. Ecco perché a volte lo associamo a sentimenti negativi. Da un canto è capace di regalare sensazioni stupende ma, come ogni aspetto della vita, passa anche attraverso esperienze dolorose. Come la favola di Esopo che narra la paura del “diverso”, le pene d’amore di Cyrano hanno a che vedere con la delusione.
La sceneggiatura di Erica Schmidt passa per un’analisi fine, struggente e tormentata, quella basata sul confronto del nostro io e dei suoi limiti: la mente umana, per sua stessa natura, manifesta un bisogno d?appartenenza. Tuttavia l’applicazione di categorie rigide, precostituiti e stereotipate determinano l’innescarsi della paura del diverso, e ci? porta a non riconoscere una verit? assoluta e fondamentale: tutti gli esseri umani sono simili e tutti sono contemporaneamente differenti. Nessun individuo somiglia all’altro, ciascuno ha il suo umore, il suo carattere, la sua testa, i suoi occhi, la sua statura… L’unità umana produce una diversità che è vitale. Il tesoro dell’unità è la diversità, ma il tesoro della diversità umana è l’unità. Nel momento in cui si dimentica l’unità e l’unicità umana ci si chiude e nasce l’oppressione, nasce il dolore. Questa interpretazione di Cyrano è profondamente legata al concetto di disillusione: attraverso Dinklage riusciamo a vedere la sofferenza di un personaggio a cui è stato detto dal mondo che non merita quello che vuole, semplicemente per come è nato.
Come l’amore di Cyrano per Rossana, anche la regia, la scenografia e i costumi vibrano e palpitano. Con le sue telecamere in picchiata e la scenografia oltre l’abbagliante, lo stile di Wright è più vivo che mai, e dona un nuovo significato alla parola “eleganza”. Eleganza rappresentata con leggerezza dai costumi del nostro Massimo Cantini Parrini, designer attualmente candidato all’Oscar per l’esperienza sul set del film, e che ha saputo portare la modernità in un film ambientato nel Settecento, riadattando perciò una storia che ha le sue basi nel Seicento. Spostare la narrazione cento anni più in là nel tempo e nello spazio, ha consentito ai costumi, e ai reparti tecnici, di rendere tutto più leggero e arioso.
La trama di Cyrano de Bergerac è abbastanza nota e non staremo qui ad analizzarne i dettagli, tranne che per sottolineare che Wright – uno degli artigiani più visionari del mezzo – si è superato nell’ideare modi originali e cinematografici innovativi per mettere in scena il film. Spostando l’ambientazione sull’isola di Sicilia, Wright ha abbellito la scenografia naturale delle location disponibili (compreso l’Etna per le scene di battaglia in prima linea). Cyrano e il resto dei personaggi del racconto potrebbero reali, ma qui fungono da archetipi, mentre Wright aggiorna gli aspetti della storia, per adattarli alla sua estetica, arricchendo la nobiltà con nastri, fronzoli e facce incipriate e regalando a Rossana un aspetto moderno ed essenziale: la semplicità divina dell’amore.
La scena dello spettacolo iniziale è solo un mezzo per farci capire che solo una persona ne trarrà beneficio: Rossana (Haley Bennett), che assiste con il potente Duca de Guiche (Ben Mendelsohn), qui ridisegnato come un classico villain Disney o come il Duca del Moulin Rouge di Luhrmann. La sceneggiatrice Schmidt definisce meglio il personaggio di Rossana, e lo fa fin dall’inizio: “Non sono l’animale domestico di nessuno, la moglie di nessuno, la donna di nessuno”, afferma. Con il brano più bello della colonna sonora, “Someone to Say”, di Rossana comprendiamo che è più che l’oggetto astratto dell’affetto di Cyrano, ma una donna indipendente che sa cosa vuole o almeno, pensa di saperlo.
Wright sa istintivamente come usare la sua arte senza mai limitarsi a inquadrature convenzionali. Lo fa con le scene di combattimento, lo fa con scene di ballo, e, soprattutto, ci riesce nella famosa scena del balcone – il momento in cui l’opera di Rostand supera gli iconici versi di “Romeo e Giulietta” -, in cui Wright, abilmente, trova un modo per il suo eroe colpito e addolorato di rivolgersi direttamente a Rossana.
Per quanto brillante possa essere la sceneggiatura di Schmidt, ad essere immortale è l’opera originale, e Cyrano sarebbe il primo ad ammettere: “Le parole possono portarmi così lontano”. La regia di Wright fa il resto.