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Deadpool & Wolverine: recensione del film con Ryan Reynolds e Hugh Jackman
Tags: deadpool & wolverine, hugh jackman, ryan reynolds, shawn levy
Arriva al cinema dopo tanta attesa il film Marvel che fa entrare Deadpool nel MCU e vede il ritorno di Wolverine sul grande schermo. Ma cosa ci racconta davvero?
Ricordate il primo principio della termodinamica? Quello che piace tanto ai fisici e alle bio di Instagram? Recita così: nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. È un principio che dice che tutto ciò che oggi è, sarà pure domani. Magari diverso, ma sarà pure domani. Perché, beh, non può essere altrimenti. È lo stesso principio su cui poggia un franchise cinematografico contemporaneo: nulla muore mai davvero, ogni cosa e ognuno è passibile di riesumazione e ricontestualizzazione nelle forme più consone e profittevoli. È un mantra che conosciamo benissimo. Allora perché Deadpool & Wolverine ce lo grida in faccia in un tripudio di turpiloquio? Spassoso, per carità. Il terzo film dedicato al super-ma-poco-eroe Deadpool, diretto da uno Shawn Levy che gli si trova in sintonia, fa quello che ha sempre fatto: ti dice le parolacce, ti afferra la macchina da presa, ti si siede a fianco e si guarda da fuori.
Adesso si può addirittura togliere i sassolini dagli stivali! La carica metacinematografica che lo contraddistingue da sempre si ricalibra infatti a prendere di mira quello che è (ma fino a che punto è ancora tutto da capire) l’ingresso del personaggio nel collaudato e ultimamente macilento Marvel Cinematic Universe. Soprattutto orienta il suo mirino al passato che ha trascorso sotto l’egida di 20th Century Fox, la storica società di produzione traslata nel 2019 sotto il controllo di Disney e che prima aveva fatto con i mutanti cose buone e cose meno buone. Di sicuro un pezzo di storia del cinecomic.
Deadpool & Wolverine è quindi, in sostanza, un film che afferma una cosa che poi porta subito a un’altra. Che il suo spettatore conosce le dinamiche produttive di un universo narrativo al pari passo dell’universo narrativo stesso, e che dunque la narrazione delle dinamiche produttive diventa una via percorribile e giustificabile sul piano stesso dei racconti interni. È insomma lo sdoganamento ultimo di un intrattenimento industriale che quando non sa più guardare alle sue storie di finzione guarda alle sue trame dietro le quinte. E che, in un feroce, spregiudicato e senza precedenti atto di cannibalismo, consuma le sue stesse appendici sull’altare di un qualcosa da dover offrire in dono. Da celebrare in ubriacatura, provando a farcene ridere.
Ma allo stesso tempo, quella che il film propone come una svestizione dei propri meccanismi produttivi e delle proprie ragioni affaristiche, si manifesta come un assorbimento controllato (quasi da tardivo damage control) delle osservazioni già note e individuate da chi segue il percorso compiuto dai Marvel Studios nei loro quindici anni di storia con il MCU. Il punto, anche volendo stare a questo gioco – pericoloso – di legittimazione ludica del fallimento tutt’altro che ludico (film cancellati, saghe implose, teste saltate, soldi bruciati) è che di irriverente, in Deadpool & Wolverine, c’è davvero molto poco.
Deadpool medesimo, dietro al quale torna Ryan Reynolds, è solo un vettore bislacco che viene conformato allo stare dentro certi parametri che gli sono stati attribuiti. È quello sboccato, lo abbiamo detto. È quello che rompe la quarta parete, lo sappiamo. È quello che fa cose sconce, lo abbiamo visto. Ma forse come mai prima d’ora rimane incasellato in questo suo ruolo nominale, costretto peraltro a giocare la parte del buono in una struttura essenziale se non convenzionale. Si vende come il reietto sporcaccione e pazzoide, letteralmente solo a parole. In una storia che in Deadpool & Wolverine, peraltro, non si sviluppa poi davvero mai. Si riassume anzi così: Mr. Paradox (Matthew Macfayden), agente della TVA vista in Loki, ha la necessità di sistemare una linea temporale al collasso e individua in Deadpool l’uomo giusto per il compito. Che ovviamente carambola in un casino.
A guida del casino c’è il personaggio del villain Cassandra Nova (un’impalpabile Emma Corrin, non per colpa sua), che esiste ma non vive, così come le ragioni che spostano tutti da A a B. Si dirà che non è quello il punto, ed in fondo è vero. Perché Deadpool è la scusante, la gimmick, con la quale si attraversa il cimitero industriale dei passati che furono e dei futuri che mai saranno, in un limbo – che nel film si chiama ‘Vuoto’ – dove finiscono gli indesiderati. Si tratta, reso proprio visivamente, di un luogo incoerente e incompiuto dove si sono ammucchiati i detriti collassati della 20th Century Fox, occasione che la sceneggiatura di Levy, Reynolds, Rhett Rheese, Paul Wernick, e Zeb Wells coglie per mettere in bocca al protagonista in tutina rossa il requiem delle cose lasciate a metà e per far fioccare camei in una folle indigestione citazionistica e nostalgica.
Un bel buffetto che farà la gioia dei fan in particolar modo millennial, come già la fece per le stesse identiche ragioni consolatorie (ripetiamo: nulla muore mai davvero) il fragile Spider-Man: No Way Home. Ancora una volta, però, è restituita la sensazione di un qualcuno che si alza in piedi all’interno di una stanza e ripete ad alta voce una battuta che un altro aveva pronunciato qualche secondo prima. Magari quell’altro l’aveva detta a bassa voce, magari stavolta ridono più persone. Ma resta il fatto che è una battuta già consumata.
Persino il personaggio di Wolverine, l’annunciato grande ritorno di Hugh Jackman atteso come il messia e che abbiamo tenuto in disparte fin qui, è una versione pallidissima del nichilismo terminale che lo pervadeva nello straordinario Logan di James Mangold. Proprio alla carica emotiva di quel film, e alle sue implicazioni sul senso di colpa, Deadpool & Wolverine prova ad appoggiarsi nei tiepidi momenti in cui tenta di trovare sotto la cacofonia una scala di sentimenti che ragionino sul sentirsi importante (si parla di Ancora Universale) e sull’avere uno scopo in un arazzo narrativo così frammentario e ormai privo di confini.
Lungi da noi il negare che lo spalleggiamento da buddy movie con Deadpool funzioni, perché funziona. Eppure è evidente come sia una dinamica che si ripete identica a se stessa per le due ore di un’opera che ha l’andamento di un lungo siparietto accompagnato da una colonna musicale, quella sì, impeccabile. Davanti a tutto questo si può sghignazzare e ci si può sentire cullati. Resta però da chiedersi, infine, quale ruolo giochiamo di fronte all’impossibilità della rinuncia al passato, dello smascheramento delle dinamiche e dell’imputazione a un immaginario mai prima d’ora manifestato così dall’alto. E a noi, da immaginare, cosa resta? Siamo davvero solo spettatori?
Deadpool & Wolverine è al cinema dal 24 luglio con The Walt Disney Company Italia.