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Alessio Zuccari
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Ma è mai possibile fare racconto convenzionale anche di una figura come quella di Riccardo Schicchi? Domanda lecita di fronte a Diva Futura, secondo film da sceneggiatrice e regista per Giulia Steigerwalt, che dopo il grazioso Settembre arriva in Concorso al Festival di Venezia 2024. È inspiegabile: pure la narrazione del magnate del porno gentile, visionario tra le nuvole e araldo degli ideali libertino-cavallereschi diventa snocciolamento bolso di date, di nomi, di fatti e persino, maldestramente, di una morale.
Riccardo, Ilona, Moana, Eva. L’uomo – un uomo nuovo, si tenta di dire – al centro, attorno le sue donne. Lui, figura d’avanguardia che s’è inventato l’industria pornografica italiana da portare in prima pagina e prepotentemente entrata nell’opinione pubblica italiana di fine Novecento. Loro, le dive che hanno fatto grande l’agenzia fondata nel 1983 che dà il titolo al film e che è raccontata nel libro Non dite alla mamma che faccio la segretaria di Debora Attanasio (qui interpretata da Barbara Ronchi), sul quale è basata la sceneggiatura.
Eppure, in totale antitesi alla “storia vera”, di dirompente in Diva Futura non c’è davvero nulla. Il lavoro di Steigerwalt, che aveva in questi anni mostrato una penna agile tra umorismo e dramma, circoscrive uno steccato da cronaca corale tutto voice over e finto puzzle. Si parte in medias res, poi si viaggia a ritroso e infine ci si slancia con mal di mare negli ultimi anni di vita di Schicci. Non si impiega molto a intuire che da queste parti ci si accontenta, insomma, del racconto di ascesa e caduta. Del tracciare con tanta confusione i punti della parabola classica, sperando nel brio catalizzatore e ipnotico del protagonista.
Gli presta corpo e voce Pietro Castellitto, in una performance che prova a fondere il maldestro del portamento e il lunare del pensiero, finendo però per ingoiarsi i tempi delle battute, dell’ironia e quindi l’intero pendolo inafferrabile del film. La traccia da commediola di cui si copre Diva Futura è in realtà una coperta. Corta, tra l’altro. È uno sforzo vano e sgualcito, soprattutto annegato in una lungaggine che nel suo toccare un minutaggio senza senso (siamo nelle due ore) mostra il cuore di quello che è di fatto un dramma pensato e realizzato come più patinato non si sarebbe potuto.
Si raccontano i rapporti personali e professionali di Ilona Staller (Lidija Kordić), Eva Henger (Tesa Litvan) e Moana Pozzi (Denise Capezza) con Schicchi, e nel farlo si ricostruisce il quadro da una parte umano e da una parte storico di cosa Diva Futura sia stata per tutti questi individui e per un Paese intero. Ma il copione di Steigerwalt non risolve mai davvero quale sia il suo interesse principale, se raccontare l’umano o lo storico. Finisce per non fare nessuna delle due cose e in questo costante e noioso grattacapo emerge allora la mancanza forse più paradossale. Sarebbe a dire la lapalissiana incapacità del cinema italiano, anche quello più dichiaratamente a contatto con la materia calda del corpo e dei suoi fluidi, di dichiarare a schermo l’esistenza di questa materia calda e di questi fluidi.
Di Diva Futura si potrà dire che non è un film propriamente sul porno e sulla sua industria. Ne è semmai lo slabbrato e fuori fuoco tentativo di farne narrazione in fiaba. Ma è comunque una cosa che a questo mondo gli si avvicina, e lascia dunque, per l’ennesima volta, francamente delusi a morte l’inesistenza a schermo dell’atto dell’amore tanto dichiarato da Schicchi. Il sesso (e se non fosse il sesso, almeno l’erotismo!) è un elemento accessorio, schiacciato sullo sfondo e sfocato nello sfocabile. Nella cornice da patinato simili-Netflix ci si sforza con qualche seno qui e lì, ma sia mai che l’industria cinematografica italiana, anche quella che si riempie a parole di prurigine come Diva Futura, si arrischi a svelare l’esistenza del demonico membro maschile.
Restano oltretutto gettati lì scampoli di una retorica piuttosto parziale sulla complessa realtà della pornografia («A me piace stupire, non mortificare» dirà Schicchi, nel lanciare stilettate all’industria del porno che poi sarà), così come un indulgere nei dolori umani con ripetitività e ben poco tatto – in merito, manca ancora un’opera che sappia rendere giustizia ad una figura dalla statura tragica e sfaccettata come quella di Moana Pozzi. Con personaggi simili, era lecito aspirare a di più.
Diva Futura sarà al cinema con Piper Film.