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Dog Man: recensione del film d'animazione DreamWorks
Alessio Zuccari

Dog Man: recensione del film d'animazione DreamWorks

Tags: Dog Man, dreamworks, pete davidson, Peter Hastings
Dog Man: recensione del film d'animazione DreamWorks
Dog Man: recensione del film d’animazione DreamWorks

Dog Man: recensione del film d'animazione DreamWorks

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Alessio Zuccari
Tags: Dog Man, dreamworks, pete davidson, Peter Hastings

Peter Hastings scrive e dirige un’opera con molte idee e dall’assurdo umorismo, spin-off di Capitan Mutanda – Il film.

Dog Man è un film sciroccato tanto da rischiare di morirci. A partire dalla premessa: uno spericolato agente e il suo cane poliziotto subiscono un grave incidente nel tentativo di acciuffare il supercriminale Gino il gatto. Stanno entrambi per rimetterci la pelle: dell’agente è salvabile solo il corpo, del cane solo la testa. La soluzione? Cucirli assieme e creare l’ibrido che prende il nome del titolo di quest’opera d’animazione. Sta già in questa scelta à la mostro di Frankenstein, che sembra a tutti normalissima e comprensibilissima, il bislacco stordimento del lavoro sceneggiato e diretto da Peter Hastings, che da qui in avanti alza solo il tiro della creatività e di un’ironia inafferrabile.

Tratto dal graphic novel per bambini di Dav Pilkey, autore anche di Capitan Mutanda del cui film Dog Man è peraltro una sorta di spin-off, la nuova pellicola di casa DreamWorks oscilla di continuo tra i precetti edificanti – trovare una famiglia e la bontà dentro se stessi –  e un modo di raccontarli con un gusto tra la follia inconsapevole e lo sbullonato.

Dog Man: la trama e lo stile

Dog Man: recensione del film d'animazione DreamWorks
Photo Credits: Universal Pictures

Al fondo dell’intreccio c’è un acchiappa e molla, quello del super poliziotto Dog Man (che abbaia e non parla) nei confronti sempre di Gino (in originale Petey, doppiato da Pete Davidson), che come unico scopo ha il voler far fuori quell’uomo cane che vuole sgominare i suoi piani di distruzione. Ma nel mezzo ci finiscono anche Ginetto, clone/figlio candido e petulante di Gino, il padre menefreghista di quest’ultimo, il capo della polizia, una reporter, la sindaca della città, un pesce psicocinetico, un robot tuttofare, un palazzo mannaro.

E Dog Man li frulla tutti assieme in una rincorsa che ama il nonsense e ama lo slapstick puro, cioè le gag tutte di corpo tra inciampi, tuffi, tonfi, botte quasi da linguaggio da cinema muto. Anche se, certo, è in realtà un’opera fortemente onomatopeica e cacofonica, impastata con sovraimpressioni e didascalie mutuate dalle cornici dei fumetti e sintetizzate con un’animazione (curata dalla Jellyfish Pictures) che riprende l’essenziale dei modelli dei personaggi e dello scenario senza rinunciare a una spiccata ricchezza estetica.

Un film di freaks con molte idee visive

Dog Man: recensione del film d'animazione DreamWorks
Photo Credits: Universal Pictures

Il lavoro di Hastings è un vulcano di idee visive e di microbattute in punta di assurdo, che si rovesciano su se stesse e sulle situazioni che le contengono, portando a un continuo susseguirsi di siparietti e capovolgimenti di fronte nel bel mezzo anche del più concitato segmento d’azione. Dog Man infatti, nonostante mantenga la sua linea umoristica (forse più ad altezza d’adulto?) costante per tutto il tempo, evolve momento dopo momento. A un certo punto diventa addirittura un film con i kaiju, i mostri colossali della tradizione giapponese come Godzilla, che sconvolgono le messe in scala e le grandezze coinvolte in uno scontro sempre con un piglio tra il trasognato e il cattivello.

Quando sembra di star per esaurirsi, la pellicola ne tira sempre una nuova fuori dal cilindro, non facendosi poi mai davvero accomodante con i suoi freaks – il protagonista, Gino, Ginetto, il pesce questo sono. Spesso sono abbandonati, lasciati soli, esclusi, persino ammazzati. Ma nelle loro strambe solitudini Dog Man trova dei deliziosi e altrettanto strambi punti di contatto.

Dog Man è al cinema con Universal Pictures dal 30 gennaio.

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