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42TFF | Eden, recensione del film di Ron Howard
Alessio Zuccari

42TFF | Eden, recensione del film di Ron Howard

Tags: ana de armas, Daniel Brühl, Eden, jude law, ron howard, sydney sweeney, vanessa kirby
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Alessio Zuccari
Tags: ana de armas, Daniel Brühl, Eden, jude law, ron howard, sydney sweeney, vanessa kirby

Il regista premio Oscar porta al 42esimo Torino Film Festival un film-parabola con un cast di star.

Le biografie, gli eventi e i personaggi fuori dall’ordinario non sono mai mancati nella carriera di Ron Howard. Basti pensare che al fianco della sua filmografia di finzione, il regista statunitense accompagna da decenni anche un nutrito percorso documentaristico. Stare in prossimità delle persone e delle loro storie, talvolta assurde, sconosciute, incomprese, è un metodo d’indagine antropologico all’interno del quale Howard cerca spesso di cogliere un piglio edificante. Pensiamo ai suoi due lavori più recenti: Tredici vite, resoconto un po’ troppo enfatico dell’ostinazione dei soccorritori durante l’incidente di Tham Luang; Elegia americana, adattamento dal libro di memorie di J.D. Vance, di recente eletto vicepresidente degli Stati Uniti, fatto che corona a posteriori ancor di più l’American Dream di cui il film discuteva non con pochi problemi. Ecco allora anche Eden, opera presentata in anteprima al Torino Film Festival 2024 e che in questo solco si inserisce alla perfezione.

La società in scala

42TFF | Eden, recensione del film di Ron Howard
Photo Credits: 01 Distribution

Lo fa con meno pregi che demeriti. Eden infatti non nasconde nemmeno per un istante il volersi porre a parabola morale, a teatro in scala della messa in scena della società e delle sue aberrazioni. La premessa del racconto è vera. Nel 1929 il dottore tedesco Friedrich Ritter (un sudicio Jude Law) e la moglie Dora Strauch (Vanessa Kirby) sono disgustati da un’Europa al collasso sotto l’asse nazifascista. Decidono così di recludersi sull’isola disabitata di Floreana, piccolo e ostile spuntone di roccia nell’arcipelago delle Galapagos. Scopo di Ritter è quello di sintetizzare una nuova filosofia con cui innervare le speranze di un’umanità per lui marcia, e al contempo curare attraverso la meditazione la sclerosi multipla di Dora. Gli scritti di Ritter, che invia come lettere in Germania, presto si diffondono e attirano l’interesse di esuli come la famiglia Wittmer, composta da Heinz (Daniel Brühl), Margret (Sydney Sweeney) e il figlio Harry (Jonathan Tittel).

Allora ecco che i buoni e sani principi di Ritter, che sulla carta immagina un mondo più sano, giusto ed egalitario, faticano a essere messi in pratica a partire dal buon vicinato. Il dottore infatti tenta di scacciare e rendere la vita difficile ai Wittmer, che invece riescono a cavarsela bene – con evidente invidia dell’autodichiaratosi intellettuale – perlomeno fino a quando non entra in gioco una terza coordinata, la baronessa Eloise Bosquet de Wagner Wehrhorn (Ana De Armas) e il suo stuolo di servitori (Felix Kammerer, Toby Wallace). Che su Floreana vuole costruirci un hotel.

Non è complesso individuare in questi tre poli la manifestazione metaforica del potere culturale, economico e popolare, che la sceneggiatura di Noah Pink amalgama e pone in perenne conflitto e incomprensione a partire dagli eventi che, per un anno dall’inverno del 1932, hanno sconvolto la vita di questa decina scarsa di persone. I personaggi e le dinamiche che governano le loro interazioni sono il punto di Eden. A tutti manca qualcosa che ha quell’altro. E tutti hanno un sospetto o un interesse che va a discapito di quell’altro.

Sarebbe servito un tratto più fine

42TFF | Eden, recensione del film di Ron Howard
Photo Credits: 01 Distribution

Ma lo script di Pink manifesta un costante affanno nello stare dietro adeguatamente a ogni suo personaggio, a calibrare la dose con la quale l’uno avvelena la mente o i pasti di chi gli abita a qualche metro di distanza. Ci sono inevitabilmente dei favoriti. Come il personaggio di Margret, con cui Sweeney continua con intelligenza a bilanciare il rischio di capitalizzare troppo il divismo da sex symbol, e della quale il film assume punto di vista sull’evidenza dei fatti e l’indice di rettezza comportamentale. Attorno a lei c’è però una mancanza di finezza nel tratteggiare una complessità di rapporti che smaschera l’impalcatura costruita su tesi, che si orienta nella esatta direzione che Eden pare suggerire sin dal primissimo istante. Che c’è insomma qualcuno di ben più meschino degli altri.

I cambiamenti e i mutamenti di direzione sono allora repentini e programmatici. E il paradosso è che poi non sono nemmeno davvero tali, poiché da tutti emerge solo un lato più estremo della personalità che si intuisce dal minuto uno hanno avere. Cosa che sotto un certo profilo potrebbe essere anche un tratto intenzionale del film, vittima però di un rovescio nel progressivo disinteresse nei confronti di uno sviluppo narrativo intuibile, lineare, piuttosto molle. Inciampato a volte persino in un grottesco involontariamente più ironico che tragico, carattere che sarebbe la vera cifra di un’opera invece di fondo spietata e brutale per l’assurdità del suo portato. Se da un lato Eden vuole dunque portare a scuotere la testa sull’incapacità dell’essere umano di accettarsi e convivere persino su di un’isola deserta, dall’altro non pare andare poi molto oltre questa sua imposta e granitica presa di posizione.

Eden sarà al cinema prossimamente con 01 Distribution.

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