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42TFF | Europa centrale, recensione del film di Gianluca Minucci
Alessio Zuccari

42TFF | Europa centrale, recensione del film di Gianluca Minucci

Tags: Europa centrale, Gianluca Minucci, Paolo Pierobon, Tommaso Ragno
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Alessio Zuccari
Tags: Europa centrale, Gianluca Minucci, Paolo Pierobon, Tommaso Ragno

In Concorso al 42TFF un esordio italiano claustrofobico, abitato dagli incubi e dalle carcasse delle ideologie del Novecento.

Non si può certo dire che Europa centrale sia un film privo di carattere. L’esordio alla regia di un lungometraggio di Gianluca Minucci, classe 1987, è un’opera stipata negli spazi angusti e asfissianti di un treno che si fa un luogo dell’anima tormentato, ammalato, pervaso dagli incubi. Un veicolo che sta attraversando l’Europa in subbuglio di guerra e di autoritarismi nell’aprile del 1940 e che nel lavoro di Minucci, presentato in Concorso al Torino Film Festival 2024, si pone a vascello di una paranoia febbricitante nei volti costantemente imperlati di sudore di chi ne è a bordo.

Uno di questi è Umberto Cassola (Paolo Pierobon), comunista che ha il compito di consegnare degli importanti documenti su ordine del Comintern, accompagnato da Julia (Catherine Bertoni de Laet) e dalla figlia Olga (Angelica Kazankova). L’altro è Guido Clerici (Tommaso Ragno), fascista affiancato dalla moglie Gerda (Matilde Vigna) che invece i documenti deve intercettarli prima che si metta di mezzo pure l’agente László Molnar (Levente Molnàr).

Il morbo delle fedi politiche che annullano l’individuo

Europa centrale, recensione del film di Gianluca Minucci

All’interno della cornice di un film di spionaggio quasi cerebrale, teso e asserragliato nei confini del formato in 4:3, Europa centrale commenta anche, e forse soprattutto, gli strascichi delle due maggiori ideologie che hanno plasmato il Novecento. Minucci, in sceneggiatura assieme a Patrick Karlsen, le inocula nelle carni e nei volti di Umberto e Guido (ottimi Pierobon e Ragno, come il resto del cast), perennemente sull’orlo di una crisi paranoide e allucinatoria. Con l’ausilio fondamentale della fotografia espressionista di Carlo Rinaldi, la regia di Minucci si spinge a inchiodare in inquadrature strette i due antagonisti di cui si avverte il puzzo, lo stato di decomposizione di uomini che sono prossimi al diventare carcasse consumate dal morbo della loro incrollabile fedeltà a ideali ai quali hanno venduto l’anima.

Europa centrale, che guarda molto da vicino la rappresentazione e la recitazione da camera, ne fa quindi una questione che parte dal fisico: l’ideologia si nutre dell’individuo e portata all’estremo lo annulla, come fa con araldi quali Umberto e Guido. Il film li compatisce come ombre destinate a sparire a causa della loro incapacità di mettere in questione, di interrogare loro stessi e il loro credo politico. Incapaci ormai persino di provare empatia, cosa che li conduce a un’aberrazione – pericolosa e violenta – che qui sfogano nel rapporto che hanno con il femminile (nelle figure di Olga e Gerda, comunque contaminate, ma le uniche a praticare il pensiero e non il comando), praticato in maniera gerarchica, in sottomissione psicologica e infine anche carnale.

I due lati della stessa medaglia?

Europa centrale, recensione del film di Gianluca Minucci

Resta però poggiata sul fondo una domanda. Nell’atto di messa in critica di queste due ideologie, si possono davvero accostare nello stesso vagone fascismo e comunismo? Possono essere davvero discusse come dicotomie e lati della stessa medaglia? Certo, vengono affrontati tirandone in causa le matrici dittatoriali nelle effigi dei due volti più simbolici, Mussolini e Stalin, in quel preciso periodo storico e in quella precisa connotazione geopolitica. Resta tuttavia da tenere a mente la distinzione alla base della loro formazione, l’una calata come esperienza partitica fondata sulla prevaricazione e sullo squadrismo e per lo più localizzata in Italia e nel suo capobastone, l’altra come esperienza associazionistica condivisa, secolare e geograficamente trasversale, seppur arrivata ad esprimersi al potere solo nelle sue terribili manifestazioni totalitarie.

Non è questo il punto del discorso di Europa centrale, chiaro. Che resta un film in una certa misura di genere, applicato con rigore ed efficacia a descrivere la parabola di degenerazione morale attraverso il suo sforzo di forma, avvitato come un nodo scorsoio attorno alla gola di quasi fantasmi che da questo treno forse non sono destinati a scendere. Buon debutto.

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