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Alessio Zuccari
FolleMente: recensione della nuova commedia di Paolo Genovese
Francesco Costabile è solo alla seconda regia e la sua filmografia già ci segnala l’urgenza che la percorre: i corridoi e le stanze di casa possono essere un luogo dell’incubo. Familia, opera che il regista scrive assieme a Vittorio Moroni e Adriano Chiarelli e presenta in Orizzonti al Festival di Venezia 2024, arriva in coda a Una femmina e ne raccoglie la stessa volontà di discutere l’orrore del maschile quando è parente, che sia padre, marito, fratello. Ma se in quell’interessante esordio il punto di vista ingabbiato era della donna, adesso è quello di un figlio che deve confrontarsi con il retaggio velenoso e infestante di un maschile imperioso e che divora la sua stessa prole.
Luigi (Francesco Gheghi) non ha la testa messa a posto. Non studia, non lavora e frequenta un circolo di neonazisti. In questi e nel suo leader (Enrico Borrello) proietta il riferimento che gli è sempre mancato, la figura paterna. O perlomeno l’idea che di questa gli è stata inconsciamente introiettata: rigida, selvaggia, incline alla violenza. Il suo di padre, Franco (Francesco Di Leva feroce, ferino. Fa paura), è stato infatti arrestato quando Luigi e suo fratello Alessandro (Marco Cicalese) erano ancora piccoli: lasciava la madre Licia (Barbara Ronchi) con i lividi in faccia.
Familia si muove in territori molto archetipici per raccontare con un’atmosfera sempre in tensione, sempre ammalata, le lunghe falangi di un demone che si alimenta del suo stesso sangue. È un film cupo che cementifica tra le mura domestiche la persistenza del mostro, pronto a tornare nel momento in cui Franco esce di prigione e prova a cercare i suoi figli. Luigi vuole concedergli una chance, ma poco a poco l’uomo si insinua nuovamente in casa e torna a plagiare tutta la famiglia, a partire dall’inerme Licia.
Tra lei e Franco si consuma la scena più agghiacciante del film, un frangente che Costabile maschera con grande sapienza da falso momento di intimità dei due, sotto al quale si disvela la realtà di una violenza perché abuso profondo, psicologico, mentale. È un passaggio da brividi, che permette di comprendere in quale maniera lavori il cinema del regista, dove e come vada a cercare il terrore in questi momenti di profondo disagio per lo spettatore.
Ma Familia sa virare anche in sentimenti dolcissimi, che si schiudono nei toni delicati e accorati della madre con i figli (molto bello un momento nel prologo con i due fratelli ancora piccoli), di Luigi con la sua ragazza Giulia (Tecla Insolia) e soprattutto tra i due fratelli, che si respingono e si riprendono di continuo. Anzi, le loro interazioni sono quelle che in realtà le dinamiche strutturali di Familia chiamerebbero più di quanto la sceneggiatura effettivamente conceda. C’è un’ottima intesa, una palpabile vibrazione tra Gheghi – un futuro nome grande del nostro cinema – e Cicalese, molle caricate al contrario nel tentativo di creare un cordone di sicurezza attorno a loro e alla madre. Familia in fondo è un cinema di attori, che Costabile sa dirigere e veicolare emotivamente con grande efficacia.
Brutale poi il finale, che arriva diverso da come la tensione sembra lo stia veicolando fino a quel momento. Che eppure svela un ultimo scacco mosso al proprio figlio, un’ultima negazione di libertà e di scelta, nel momento in cui Familia si fa più estremo e con la terribile sensazione che da certi tunnel talvolta non si possa risalire mai per davvero.
Familia sarà al cinema dal 2 ottobre con Medusa Film.