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Feud: Capote vs. The Swans: recensione della serie su Disney+
Alessio Zuccari

Feud: Capote vs. The Swans: recensione della serie su Disney+

Tags: disney+, Feud: Capote vs. The Swans, gus van sant, ryan murphy, Tom Hollander
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Alessio Zuccari

Feud: Capote vs. The Swans: recensione della serie su Disney+

Tags: disney+, Feud: Capote vs. The Swans, gus van sant, ryan murphy, Tom Hollander

La seconda stagione della serie antologica racconta della decadenza umana e professionale di Truman Capote, alle prese con una faida che ne ha logorato l’ultima parte della vita.

A sangue freddo ha prosciugato Truman Capote. Dopo questo, uno dei suoi lavori più celebri, il leggendario scrittore statunitense non terminò mai un altro romanzo. È una delle prime affermazioni che Capote fa in Feud: Capote vs. The Swans: «A sangue freddo mi ha tolto tutto». Lo troviamo già diversi anni dopo l’uscita del libro; è il 1975 e l’opera che gli ha tolto tutto è del 1966. È un uomo alla deriva.

Tom Hollander, che nella seconda stagione della serie antologica creata da Ryan Murphy, Jaffe Cohen e Michael Zam è nel ruolo di Capote, non si limita a interpretarlo, lo incarna. Ne assorbe ogni cosa. L’estro, l’umorismo, la genialità, la carnalità, il senso inesorabile della mortalità. Soprattutto i detriti, i pezzettini di sé che Capote si sta lasciando dietro in una lenta decomposizione tra strade, appartamenti, ristoranti e palazzi di New York. Questa stagione, in otto episodi, è una cronistoria del declino di quelle che forse sarebbero piaciute allo stesso scrittore, intrisa di una traccia di verità profonda sulla quale si innestano poi l’arte romanza e la menzogna della fantasia.

I cigni, l’alta società newyorchese e i pugnali

Feud: Capote vs. The Swans: recensione della serie su Disney+
Photo Credits: Disney+

Un declino che Capote sembra in qualche modo attirare, dal quale si lascia lusingare. Sceglie in maniera consapevole quando decretarne l’inizio. Ed è il momento in cui dichiara guerra alle Swans, ai cigni dell’alta società newyorchese. Alle dame che giocano al gioco del rispetto e della rispettabilità, che articolano il loro stare alla vita delimitando i perimetri di un’aristocrazia artefatta dal denaro e dall’imprenditoria dei mariti, dei padri, dei consorti, dai quali si smarcano elevandosi in statura e rivaleggiando con i reali di mezzo mondo.

Sono snob e «non sanno nulla di quello che accade lì fuori», sono un’entità storicamente giovane ma già decadente, di cui Capote è intimo confidente. In particolare di una di loro, la Babe Paley di Naomi Watts, con la quale condivide un rapporto che afferma tra i più importanti della sua vita e che non riuscirà poi mai a risanare. Perché da confidente sceglie di diventare testimone. Cioè riprende a fare ciò che sa fare meglio, osservare, filtrare nel pensiero e riportare con una penna che ferisce più di una spada e più di un proiettile.

Inizia a scrivere uno dei diversi lavori che poi non terminerà mai, Preghiere esaudite, e quando la rivista Esquire ne pubblica un estratto la pietra della discordia è scagliata. È il capitolo “La Côte Basque 1965”, omonimo al ristorante in cui Capote e i suoi cigni sono soliti ritrovarsi per i molti pranzi che Feud: Capote vs. The Swans inchioda al centro della sua danza macabra, della sua posa in etichetta, tanto effimera quanto serissima, dell’esistenza stessa.

Un cast eccezionale e una scrittura affilata

Feud: Capote vs. The Swans: recensione della serie su Disney+
Photo Credits: Disney+

La serie vortica avanti e indietro nel tempo, negli anni che nella testa dello scrittore si mescolano in un confuso senso di continuità e su cui la regia di Gus Van Sant – in un paio di episodi anche di Max Winkler e Jennifer Lynch – celebra un incubo lucido. Perché questa è una serie infestata da presagi funerei, attraversata da fantasmi del passato, del presente e anche del futuro che Capote sembra tenersi stretti. Volteggiano nella vita di un uomo consumato giorno dopo giorno dall’abuso di alcol. Si fanno allucinazioni che tracciano le cause del suo vissuto torto e contorto, a partire dal problematico rapporto con la madre (Jessica Lange) che torna a visitarlo per muovergli critiche ed accuse.

E poi ci sono le persone che sono entrate e uscite dalla vita di Truman, i suoi amori, i suoi amanti anche violenti, le sue protette. La sceneggiatura di Jon Robin Baitz attinge da più fonti e da più voci per ricreare con affilata quanto ammalata eleganza gli spigoli dello scrittore e soprattutto dell’uomo, la cui fortuna è però principalmente nelle mani di un Hollander incredibile e febbrile, capace di instaurare un dialogo di altissima caratura con tutti gli altri interpreti.

Definire il cast come di valore è infatti forse poco (una menzione va fatta a Treat Williams, scomparso nel 2023), e su tutti svettano le Swans, caratterizzate al millimetro dallo script e poi ritratte tra meschinità e fragilità da attrici come Diane Lane, Chloë Sevigny, Calista Flockhart, Demi Moore. Al centro resta però lui, Capote, che anche quando è trascinato via negli angoli dalla corrente delle sue debolezze rimane il baricentro di una serie notevole per l’approccio e per la resa.

Feud: Capote vs. The Swans è su Disney+ dal 15 maggio.

Guarda il trailer ufficiale di Feud: Capote vs. The Swans:

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