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Fino all'ultimo indizio: quando anche il thriller diventa stantio
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Fino all'ultimo indizio: quando anche il thriller diventa stantio

Tags: denzel washington, fino all'ultimo indizio, The Little things
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Fino all'ultimo indizio: quando anche il thriller diventa stantio

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SINOSSI:?

Il Vice Sceriffo della Kern County, Joe “Deke” Deacon (Washington) viene mandato a Los Angeles per quello che doveva essere un veloce incarico di raccolta di prove. Al contrario, si trova coinvolto nella caccia al killer che sta terrorizzando la citt?. A guidare l’indagine, il sergente Jim Baxter (Malek) che, colpito dall’istinto di Deke, richiede il suo aiuto non ufficiale. Ma mentre danno la caccia al killer, Baxter ignora che l’indagine sta riportando a galla alcune situazioni vissute in passato da Deke, svelando segreti scomodi che potrebbero mettere a repentaglio molto pi? che il suo caso.

Una grandissima pecca che ? possibile riscontrare ormai in diversi film contemporanei ? l?incredibile sensazione di d?j? vu che molte pellicole offrono allo spettatore, mentre in realt? cercano solo di creare attorno a s? un?atmosfera che richiami esattamente il periodo in cui vengono ambientate. Lo ha fatto e dichiarato Patty Jenkins, regista di Wonder Woman 1984, cinecomic ideato non solo partendo da una storia posta nel bel mezzo degli anni Ottanta, ma di cui la cineasta ha preteso di riportare la colorata caoticit? di quei tempi, fallendo miseramente non solo per la struttura narrativa del film in s?, ma per quel senso di arretratezza che effetti e messinscena andavano ad impostare.

Stessa sensazione, con per? nessuna pretesa di viaggio nel tempo, si ritrova in Venom di Ruben Fleischer, la cui fattura sembra semplicemente la brutta copia di un film di supereroi anni Duemila, dove gag e scene d?azione riportano non felicemente indietro con la mente, facendo piuttosto venire voglia di rivedere gli intramontabili lavori di Sam Raimi con il personaggio di Spider-Man. Questa volta, a cadere nella medesima trappola, ? il genere thriller, un?indagine ferma al 1990 che sembra aver frizzato nel tempo anche la pellicola Fino all?ultimo indizio.

Il protagonista stesso sembra aver attraversato i decenni senza essere mai cambiato, non certo potendo prendere questa mancata trasformazione come un privilegio. ? l?attore Denzel Washington a condurci in una pellicola immobile per la tipologia di film thriller, in cui nulla contribuisce a sollevare le sorti verso cui la pellicola sembra condotta, causa di una stanchezza e una vecchiezza mutamente intrinseca. Diventato ormai seguace di Mindhunter e delle logiche contorte dei serial killer, avendo assistito ai piani letterari di un?opera come Animali Notturni e dopo aver sofferto per le incomprensioni e le vendette di una pellicola come Prisoners, approcciarsi a Fino all?ultimo indizio per il pubblico significa trovarsi di fronte a un generico concentrato di ovviet? investigative, mai davvero conturbanti.

La ricerca di un assassino di donne, vittime di aggressioni violente e fantasmi dei ricordi di un protagonista come quello di Washington, nulla aggiunge a un discorso sul genere che esegue dei meccanismi senza avere concrete direttive all?interno della pellicola, il cui aspetto pi? interessante viene riservato frettolosamente allo spaccato finale del film. La psicologia del personaggio di Washington e del suo comprimario Rami Malek subiscono il poco coraggio di una sceneggiatura che, per cercare di scrivere seguendo la classicit? dello stile poliziesco-crime, snobba quasi totalmente la reale leva su cui avrebbe dovuto e potuto soffermarsi, tentando di andare affondo nei traumi che scuotono il protagonista e che si rispecchiano, con ossessione, in quelli del suo collega.

L?inseguire con immersione un caso tanto efferato conduce sulla via della fissazione i personaggi, distorcendo il senso dell?indagine, del raziocinio, della giustizia. Un discorso sullo scendere a patti con quello che non sempre si pu? controllare, il quale rimane alla superficie di un film che aveva l? proprio davanti agli occhi la maniera per intrigare il suo pubblico, volenteroso invece di non starla ad esplorare. Profondit? che avrebbe permesso un perdono anche sul mancato buon gusto di alcune sequenze discutibili all?interno della pellicola, che perseguono quel sentore di stantio dichiarato al principio e che aggiungono perplessit? alle scelte stilistiche messe maldestramente in scena.?

In queste inconciliabilit? artistiche e narrative, non basta il discreto lavoro fatto da Jared Leto sul suo ambiguo antagonista, n? per la pellicola e il contribuire indirettamente alla sua riuscita, n? tanto meno a se stesso e alla possibilit? di segnare un altro ruolo iconico nella propria filmografia, nonostante la trasformazione fisica apportata. Quasi irriconoscibile con quel volto scavato nascosto dietro gli unti capelli lunghi del suo mitomane, con le braccia lasciate lunghe fin sotto ai fianchi, sporgendo con la postura che gli porta avanti il bacino facendo ondeggiare il tutto con inquietante cedevolezza, Leto recita con destrezza, ma ? pur sempre figlio di una storia che non gli concede di primeggiare adeguatamente, dovendosi ridimensionare per abbinarsi all?andamento dismesso dell?investigazione.?

Con un compartimento tecnico altrettanto problematico, dove il montaggio contribuisce solo al disorientamento creato da Fino all?ultimo indizio spezzettando al massimo le sequenze, ma non tagliando abbastanza da ridurre la visione del film, l?opera del regista John Lee Hancock non riserva allo spettatore nulla che possa farlo uscire dalla sala degli interrogatori assolutamente soddisfatto. Lo smacco finale ? la mancata consapevolezza di come poter trattare in maniera funzionale una narrazione e decidere di virare, infine, per la staticit? del riconoscibile. Quel senso di passato che passa male e deludente per?, almeno, una cosa la lascia: la voglia di andarsi a rivedere o di recuperare un vero bel classico anni Novanta.

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