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Flee, recensione del documentario danese candidato agli Oscar

Tags: flee, oscar 2022, oscar nomination, Riz Ahmed
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Flee, recensione del documentario danese candidato agli Oscar

Tags: flee, oscar 2022, oscar nomination, Riz Ahmed

Con Flee, l’animazione si conferma ancora una volta il mezzo perfetto per dipingere l’umanit?. Da oggi nelle sale italiane.

Amin Nawabi si siede davanti alla telecamera e chiude gli occhi nel documentario danese Flee, ritratto intimo dei traumi duraturi dello spostamento e uno dei film pi? umani dell’anno. Respira profondamente e i ricordi lontani cominciano a scorrere nella sua memoria e sullo schermo, punteggiati da sensazioni e dettagli di vecchia data.

Il quadro, la cornice di Flee, ? il volto di Amin Nawabi, le pennellate sono la sua storia: ? impossibile dipingere senza aver stabilito i confini, comprendere dove verr? posizionato il nostro ritratto e chi si fermer? a guardarlo. Il team creativo dietro a Flee ha ben in mente questi elementi fondamentali ai fini della fruizione cinematografica, com’? ben visibile gi? dall’eterogeneit? di questo gruppo di artisti: si tratta infatti di una co-produzione Danimarca, Francia, Svezia, Norvegia, Stati Uniti, Slovenia, Estonia, Spagna, Italia, Finlandia, che sancisce fin da subito il carattere inclusivo e ospitale dell’opera. Produttore esecutivo del film ? poi il Riz Ahmed di Sound Of Metal, nominato come Miglior Attore Protagonista agli Oscar dello scorso anno, con una performance che gi? mirava ad ampliare i confini del racconto cinematografico a racconti di vita da intendere come vere e proprie esperienze umanitarie.

Prima Amin ? un ragazzo che balla per le strade della Kabul degli anni ’80, spensierato mentre la musica pop occidentale rimbomba dalle cuffie rosa sulle sue orecchie; pi? tardi, siede nel cortile della sua casa di famiglia ad ascoltare rapito racconti su suo padre, vittima del dispotico governo comunista, e che Amin non avrebbe visto mai pi?. Ricorda poi lo shock di essere fuggito dall’Afghanistan devastato dalla guerra nel 1989 con sua madre e i suoi fratelli, solo per rimanere bloccato nel limbo della desolazione inospitale della Russia post-sovietica, con documenti scaduti, guardando telenovelas messicane doppiate per trascorrere il tempo che passa inesorabile, tra tentativi sempre pi? strazianti di aggrapparsi a un futuro migliore.

Decenni di ansia persistente, paura e dolore sepolto si rivelano quando Nawabi, ora un accademico che vive a Copenhagen con il suo compagno, racconta le sue esperienze di bambino rifugiato afghano al regista e amico di lunga data Jonas Poher Rasmussen in Flee, che gi? aveva vinto il Gran Premio della Giuria al Sundance 2021 e ora si ? guadagnato ben tre nomination agli Oscar, nelle categorie del Miglior Documentario, Miglior Film d’animazione e Miglior Film Straniero.

Rasmussen ha incontrato per la prima volta Nawabi, qui in veste anche di co-sceneggiatore del film, quando erano studenti alle scuole medie. Flee anima dunque – non solo dal punto di vista strettamente grafico – i ricordi e le esperienze di vita del giovane Amin, allora un pacato immigrato in una terra straniera che cercava in tutti i modi di non farsi notare.

Ora, dopo decenni di stretta amicizia, Rasmussen vuole ripristinare l’importanza di un passato che Nawabi ha volutamente snaturato, non sentendolo pi? sua a causa delle dolorose ferite che gli ha impresso; sono linee di trama e ricordi che il protagonista ha volutamente occultato a chi gli sta intorno, anche per difendere e non “contaminare” la realt? di chi vive serenamente, di chi lo ha sorretto ed ? diventato per lui casa nel corso degli anni passati in Danimarca. Ma la prepotenza del dolore ha sempre bisogno di emergere ed essere rielaborata, per poter consentire ad Amin/Nawabi di vivere veramente: ecco che Flee diventa allora non solo testimonianza, ma anche un catalizzatore di catarsi che oggi, quanto mai, disvela l’orrore di noi tutti, di chi vive sulla propria pelle le angherie di conflitti combattuti nel nome di dettami obsoleti, e di chi guarda impotente l’orrore di immagini che sembrano quanto mai vicine.

Flee ha bisogno del nostro supporto in sala ma, oggi come mai, siamo noi pubblico ad avere bisogno di una pellicola come Flee, che ci dimostra ancora una volta come le radici dell’animazione siano il pennello che cancella qualsiasi confine, dipingendo racconti, immagini di vita che dobbiamo conoscere, rielaborare, trasmettere agli altri, amalgamandone i colori della tavolozza.

Il documentario animato Flee ? da oggi nelle sale italiane, distribuito da? I Wonder Pictures?

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