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Furiosa: A Mad Max Saga, la recensione del film di George Miller
Alessio Zuccari

Furiosa: A Mad Max Saga, la recensione del film di George Miller

Tags: anya taylor-joy, chris hemsworth, Furiosa: A Mad Max Saga, George Miller
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Alessio Zuccari

Furiosa: A Mad Max Saga, la recensione del film di George Miller

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Anya Taylor-Joy è protagonista nel film prequel che racconta la genesi della leggendaria Furiosa. Chris Hemsworth è notevole nei panni del villain Dementus.

Starete pensando a Mad Max: Fury Road. Bene. Ora prendetelo e mettetelo da parte per un poco. Per circa due ore e mezza. Perché questo è il tempo che dura Furiosa: A Mad Max Saga, che è tutta un’altra storia, di tutta un’altra epica. George Miller è il primo a saperlo: mettersi in competizione con se stesso non ha senso. Quello che è stato fatto, quello che lui ha fatto, con Mad Max: Fury Road non ha rivali. Allora George Miller non compete con il motore più ruggente della sua scuderia. Sceglie un modo del tutto differente di ammirare le aride dune della Zona Desolata, di ammirare il ritorno della sua protagonista.

Ebbene sì, quello di Furiosa come protagonista è solo un ritorno. Protagonista, difatti, lo era già nel capitolo precedente di questa mirabile saga, dove Miller accoglieva la centralità del femminile sfruttando Max Rockatansky, e i suoi grugniti, come strumento e ingranaggio arrugginito. Persino come appoggio per Furiosa e il suo fucile, nella scena forse simbolo della ragione ultima di quel capolavoro.

La genesi di un’eroina e di un deserto in guerra

Furiosa: A Mad Max Saga, la recensione del film di George Miller
Photo Credits: Warner Bros. Italia

Il modo, si diceva, è dunque differente. Ma non nuovo. Nello scegliere di raccontare chi Furiosa era, che volto aveva e da quale orizzonte proveniva prima di diventare la leggenda interpretata da Charlize Theron, Miller raffredda gli umori incandescenti e alla fede nella macchina preferisce la fede nel verbo. Sarà pur passato in sordina (per ragioni di scarsa fiducia commerciale e cattiva sorte nell’incidentarsi nel mezzo della pandemia), ma la chiave è colta dal suo penultimo film, Tremila anni di attesa. Da quella incrollabile fiducia nella forza generativa delle storie, capaci di spalancare gli spazi e allo stesso tempo accorciare le distanze tra chi immagina e l’immaginato. In Furiosa: A Mad Max Saga fate attenzione alle dissolvenze, che in concerto all’utilizzo delle ellissi del racconto lavorano nel creare quella percezione di una continuità spaziale, quindi narrativa, sconfinata.

Quella di Miller e Nico Lathouris è una sceneggiatura densa, più fitta di parole (ma non necessariamente dialoghi) di quanto avrebbe osato dire chiunque, interessata tutta a tratteggiare le ombre che i personaggi proiettano sulla sabbia come mappe nel deserto. Sono molti, e molti li abbiamo già incontrati. Tornano Immortan Joe, People Eater, Rictus Erectus, Organic Mechanic. Si aggiunge un villain loquace e tremendo come il Dementus di un azzeccato Chris Hemsworth, fisicamente ridicolizzato (il fisico e il suo accessoriarsi nella saga di Mad Max raccontano sempre un’esistenza intera), notevole nell’uso del corpo e della mimica.

Si conosce un mentore e forse amante, il Pretoriano Jack di Tom Burke, comandante delle forze della Cittadella e primo pilota di un altro grande ritorno, quello della iconica e cromatissima Blindocisterna. Anche del veicolo conosciamo l’origine; a suo modo, questa saga è un fantasy, e un fantasy si fa pure attraverso oggetti-reliquia. Furiosa: A Mad Max Saga dopotutto prende alla lettera il compito di farsi genesi. Parte da una ragazzina (Alyla Browne) che coglie un frutto da un albero rigoglioso e poi si sfoglia e si dirama lungo quindici anni di esistenza attraversati dal peccato, dalla cattività e dalla cattiveria, dalla guerra, dall’odio, dalla ricerca della vendetta. Il lavoro di Miller ha l’andamento di un testo profano, di un libro letteralmente diviso in capitoli – cinque – a cui è assegnata l’ambizione mitopoietica di farsi ode della decadenza di una terra acida e dell’eroina che un domani forse ne sarà salvezza.

I gesti, gli sguardi, l’action: raccontare un mondo

Furiosa: A Mad Max Saga, la recensione del film di George Miller
Photo Credits: Warner Bros. Italia

Anya Taylor-Joy, la Furiosa adulta, è certamente cruciale negli occhi e nelle espressioni, anche se arriva abbastanza in là e si fa poi specchio di un mondo che ci è spiegato nelle dinamiche e nei rapporti di forza. Proprio come si confà al ruolo di un prequel e di una origin story, che colmano l’avidità di conoscenza, ma che in Furiosa: A Mad Max Saga trovano l’ampiezza di respiro dei gesti che si sommano agli sguardi e nel mezzo lasciano allo spettatore l’esigenza di costruirsi domande e risposte.

C’è insomma meno action, l’olio con cui Fury Road ci aveva inebriato. Ma non vuol dire che action non ce ne sia: l’inseguimento con cui si apre il film è da manuale per come il tempo interseca la spazialità, così come un altro paio di sequenze altamente adrenaliniche incontrano un digitale in parte più abusato, in parte più grossolano rispetto al passato, che nonostante tutto non mina l’esperienza al cardiopalma della lamiera che accartoccia la lamiera.

Una fiducia nel cinema simile, e nelle sue prospettive narratologiche, è invidiabile, addirittura commovente. Furiosa: A Mad Max Saga testimonia allora l’ostinata visione mitologica di George Miller, capace di plasmarsi anche in questa forma, anche in questa dimensione, anche oggi e, speriamo, anche domani.

Furiosa: A Mad Max Saga è al cinema dal 23 maggio con Warner Bros. Pictures.

Guarda il trailer ufficiale di Furiosa: A Mad Max Saga:

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