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Alessio Zuccari
Gasoline Rainbow: recensione del road movie dei Ross Brothers
Tags: Gasoline Rainbow, Mubi, Ross Brothers
Bill Ross IV e Turner Ross, in arte The Ross Brothers, sono due fratelli e registi che lavorano da anni nel mondo del cinema indipendente ameicano. Le loro opere esplorano la ricerca documentaristica e l’osservazione del vero, in una mescola che talvolta contamina il professionismo alla realtà. Non stupisce allora poi molto che per il loro primo film interamente di finzione, Gasoline Rainbow, scelgano la chiave del road movie.
È un genere perfetto per portare dentro alla fiction l’impressione di una discussione fatta di eventi e persone reali. Sin da quando si è formulato (vogliamo ricondurne l’origine a Il sorpasso di Dino Risi? Si può), il road movie è infatti il pretesto ideale per raccontare lo spazio e chi quello spazio lo vive facendolo attraversare dai protagonisti e dalle loro impressioni. E viceversa, il mutamento dello spazio e la varietà degli incontri racconta di quei protagonisti i perché, le aspirazioni, le motivazioni, le speranze e magari le disillusioni.
Gasoline Rainbow, presentato in anteprima nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia 2023, abbraccia alla radice il senso sul quale il film on the road si fonda e su questo prova ad elaborare uno spaccato generazionale. Protagonista è la Gen Z con Tony Abuerto, Micah Bunch, Nichole Dukes, Nathaly Garcia e Makai Garza, cinque ragazzi che mantengono i loro veri nomi e si imbarcano in un viaggio a bordo di un furgoncino mezzo scassato.
Tagliano gli Stati Uniti a partire da una piccola cittadina dell’Oregon e fino ad arrivare alla costa del Pacifico, alla ricerca di un party “alla fine del mondo”. I due Ross li pedinano, stipandosi nell’abitacolo e poi quasi annullando del tutto la distanza registica che separa l’occhio dello spettatore dal gruppo di ragazzi e dagli incontri che loro fanno. In questo accorciamento tra le esperienze del mostrato e a chi tutto ciò è mostrato, trovano senso i molti inserti di cui il film si arricchisce. Foto, video, audio tratti direttamente dai dispositivi che il gruppo porta con sé, che cattura e documenta un’America pensata a misura di sguardo di teenager.
Da una parte tutto questo è anche il tentativo di trovare nello steccato del circuito narrativo l’emergere dell’improvvisazione e quindi delle interiorità, che interagiscono con persone spesso ai margini di un locale, di una strada e di una società ostracizzante come quella statunitense. È interessante la maniera in cui Gasoline Rainbow scelga allora come protagonisti dei volti che hanno l’aspetto fluido delle nuove generazioni, ma anche etnicamente eterogeno degli “outsider”. Però è anche vero che questo stile simil-documentaristico, figlio esteticamente anche di quel canone sciolto che trova spesso casa in festival come il Sundance o il South By Southwest, riveli strada facendo più limiti argomentativi che ossigeno da inspirare nei polmoni.
Gasoline Rainbow dura molto, 110 minuti, e sul lungo percorso non sembra del tutto capace di trovare il battito di un viaggio incidentato da imprevisti e da deviazioni (queste sempre dettate dallo script), che però hanno il puro scopo di far procedere verso la successiva tappa utile. Insomma, la sensazione, ad un certo punto, è che si stiano spuntando caselle attraverso l’utilizzo di una finzione troppo accessoria, troppo esile. Ed è un’impressione micidiale perché in totale frizione con l’andamento sbilenco, ma organico, che un’opera come quella dei due Ross avrebbe intenzione di andare a testimoniare. Sgomita quindi con un po’ troppa invadenza il pretesto, la cifra arthouse che non si mescola interamente e finisce in cornice di un viaggio la cui risacca emotiva resta, meno però di quanto la si vada a cercare.
Gasoline Rainbow è in streaming su MUBI dal 31 maggio.