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Alessio Zuccari
Guardiani della Galassia Vol. 3, la recensione del film di James Gunn
Tags: guardiani della galassia vol. 3, james gunn, marvel, marvel studios
Quand’è l’ultima volta che vi siete emozionati per un film del Marvel Cinematic Universe? Quand’è l’ultima volta che avete gioito, avete tenuto il fiato sospeso e avete anche pianto seguendo le sorti di questi personaggi? Con tutta probabilità dovremmo volgere le lancette qualche giro d’orologio addietro, fino a risalire la corrente dalle parti di quel fenomenale dittico che furono Avengers: Infinity War ed Avengers: Endgame.
Perché poi la lenta carburazione della Fase 4 e della Fase 5 aveva messo dubbi in testa sulla bontà del piano editoriale di Kevin Feige anche ai fan più coriacei. Senza contare poi i recenti smottamenti interni ai Marvel Studios, con l’abbandono (o licenziamento?) di Victoria Alonso, peso massimo proprio al fianco di Feige, e le turbolenze legali attorno alla nebulosa figura di Jonathan Majors, designato villain dell’intero nuovo corso del Multiverso.
Allora ecco che in questo clima di profonda sfiducia collettiva, da parte di chi questi film ce li porta al cinema e da parte di chi questi film al cinema si fionda a vederli, arriva una manna tanto attesa. Ha il nome di Guardiani della Galassia Vol. 3, scritto e diretto dal figliol prodigo James Gunn che nel frattempo ha però già salutato, fatto le valigie e si è accasato nella poltrona di comando degli acerrimi rivali della DC. Quindi non poco ironico pare il fatto che sia un suo film, chiusura di una amatissima trilogia spalmata nel corso di quasi un decennio, chiamato a rinfrancare gli umori degli affezionati nei confronti di un franchise che di certo tanto gli ha dato.
Senza MCU forse non ci sarebbe Gunn come lo conosciamo oggi, ma senza Gunn anche al MCU mancherebbe un pezzetto di identità. Quale? Quello che al fianco dello smaltato filantropo miliardario di Tony Stark e della marmorea icona di Steve Rogers ha piazzato i freaks, un gruppo di sporchi brutti e cattivi che accoglie al suo interno quel senso di eterogena universalità che il MCU si porta, di fatto, nel nome. Star Lord (Chris Pratt), Gamora (Zoe Saldana), Rocket (Bradley Cooper), Drax (Dave Bautista), Nebula (Karen Gillan), Mantis (Pom Klementieff) e Groot (Vin Diesel), accozzaglia quasi illogica di sensibilità e desideri che è stata tra le prime a farsi famiglia allargata, per scelta, a intercettare insomma una delle grandi tematiche alla quale il blockbuster contemporaneo dedica tantissimo spazio – basti pensare ad Avatar – La via dell’acqua.
James Gunn questi disadattati li ha sempre amati e, cosa ancora più importante, ce li ha fatti amare anche a noi, da subito. Non c’è una cosa che gli vada dritta, non c’è una missione che riescano a portare a termine senza che tutto sfoci in piani B, poi C, D e Z. Nemmeno in questo Guardiani della Galassia Vol. 3, dove tanto dello spazio del film è incentrato attorno alla figura di Rocket, il procione che non vuole essere chiamato procione, del quale passato si sa poco e di cui stavolta si verrà un po’ più a conoscenza.
Al centro c’è una lunga missione di salvataggio sotto le grinfie dell’Alto Evoluzionario (Chukwudi Iwuji), di gran lunga tra i villain più consistenti dai tempi di Thanos, scienziato con il tarlo del creazionismo il cui unico desiderio è arrivare a sintetizzare la specie perfetta. Figura che prosegue anche l’indagine del nuovo corso del MCU sull’ateismo e sulla caduta della fede, inconciliabile con il tessuto stesso del Multiverso, con la quantistica e l’egemonia di una scienza che più che a vecchi miti (lo Zeus in clandestinità e scimmiottato di Thor: Love and Thunder) apre varchi alla tecnocrazia.
Poi Guardiani della Galassia Vol. 3 si porta appresso la consapevolezza di essere l’ultimo tratto dell’ultimo miglio. È la chiusura dei conti per molti di questi personaggi, che già si sa che non torneranno nella saga, cosa che fa lievitare tantissimo la posta in gioco, il timore, la paura che qualcuno possa non farcela. E questo nodo alla gola mancava da tanto, troppo tempo nelle opere del MCU, che nell’ultimo lavoro di Gunn è un rintocco costante lungo tutte le scorrevolissime due ore e mezza.
Un istante prima c’è l’idiozia e la demenzialità di personaggi che solo nei film dei Guardiani della Galassia si sa come calibrare senza stuccare, nell’istante dopo occhi lucidi e singhiozzi che guardano anche all’antispecismo, con coerenza narrativa rispetto al film e al senso stesso di collettività dei Guardiani.
Guardiani della Galassia Vol. 3 sta tutto qui, siglato pure da effetti visivi di nuovo all’altezza dopo le tante polemiche del recente passato, così come dalla new entry Adam Warlock (Will Poulter) e dai cameo di attori da sempre cari a Gunn (Nathan Fillon, Daniela Melchior, Jennifer Holland e di nuovo Michael Rooker).
Nessuno verrà lasciato indietro e a tutta la vecchia guardia Gunn dona una chiusura degna e commovente, perché non è di zucchero ma agrodolce come lo sono gli animi e i rapporti che legano questi personaggi accartocciati dalle tante intemperie che li hanno investiti. Guardiani della Galassia Vol. 3 è un film pieno di abbracci ampi, corali e tra i più caldi del cinema recente, segno di un tempo che è stato, che ha unito e che infine chiama al commiato. Hanno fatto del loro meglio, adesso dog days are over.