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Alessio Zuccari
IF - Gli amici immaginari: recensione del film di John Krasinski con Ryan Reynolds
Tags: Cailey Fleming, if - gli amici immaginari, John Krasinski, ryan reynolds
Dal dittico di A Quiet Place a IF – Gli amici immaginari, dal survival horror al cinema per l’infanzia. Che John Krasinski fosse un uomo dai mille talenti forse lo sapevamo già, ma il nuovo golden boy d’America dimostra ancora eclettismo e abilità nel fare le cose che fa. Questo IF – Gli amici immaginari, che l’ex star di The Office scrive e dirige, è infatti un film di grande grazia. E lo si capisce benissimo a fronte della semplicità della sua sceneggiatura, elaborata da un Krasinski sempre conscio di quale sia l’altezza alla quale vuole porsi. Quella del fanciullo, certo. Ma anche quella ad altezza petto dell’adulto che quel fanciullo lo accompagna, preso nella morsa del sentimento di un’opera che discute i temi della paura della perdita e dell’elaborazione del lutto.
In un incipit di notevole delicatezza, ci viene raccontato come la piccola Bea (Cailey Fleming) abbia attraversato la malattia e la morte della madre. Ora è più cresciutella, ha dodici anni, e si ritrova a vivere per un po’ di tempo con la nonna (Fiona Shaw) perché anche suo padre (Krasinski) deve subire un’importante operazione. Le ansie e le paure che Bea conosce bene paiono allora riemergere, e con esse qualcosa da un passato che credeva di aver rimosso.
Al piano di sopra scopre infatti che vive uno strambo individuo, Cal (Ryan Reynolds), con altrettanto strambe frequentazioni. Si accompagna di buffe e inverosimili creature: Blue (con la voce di Steve Carell in originale, da noi Ciro Priello) è una sorta di enorme peluche, Blossom (Phoebe Waller-Bridge, qui Pilar Fogliati) invece un’apetta in stile cartoon. Cosa sono? Amici immaginari che rischiano di scomparire perché i loro bambini sono diventati grandi e hanno smesso, appunto, di immaginarli. Bea accoglie così il compito di aiutare i tre nella missione di accoppiare un’intera colonia di IF, così si chiamano, a nuove bambine e nuovi bambini.
IF – Gli amici immaginari sorprende innanzitutto per come funzioni benissimo la resa grafica di queste creature. Il fatto di crederle possibili, di vederle, è un nodo chiave del film. E nonostante il netto contrasto dato dalla loro varietà visiva (ce n’è un intero ed eterogeno “ospizio”) con l’ambiente reale che le circonda, si rivelano realizzate con grande cura e senso del posizionamento nello spazio, tra interazione fisica e luminosa.
E l’opera di Krasinski stupisce poi pure per l’agilità con la quale argomenta, tra ironia e momenti molto toccanti, come la memoria sia tattile, visiva, olfattiva, sonora, gustativa. Insomma sensoriale tutta, un qualcosa del dentro che è mediato da qualcosa che è portato dal fuori. Passa dalle foto ai video, da un odore rievocato a una musica lasciata riecheggiare, e quindi ancorata in maniera agrodolce a un altrove al quale si può sempre ritornare per chiedere una conferma di se stessi, di chi si è e di chi si è stati e soprattutto dove e insieme a chi altro.
In un film che lavora in maniera diretta ma tutt’altro che pilotata, ci sono almeno un paio di sequenze di grande cuore che Krasinski inventa ed elabora con i colori dell’estro e poi con i chiaroscuri della malinconia (la fotografia è di Janusz Kamiński), in una danza quasi astratta tra la gioia ed il magone. Ad aiutare è poi sicuramente anche il ruolo in composizione di Michael Giacchino, anche lui distante dalla reotrica del compito, che accompagna idee di regia e protagonisti con note che confermano che questo non è solo un film dei balocchi, ma anche altro.
IF – Gli amici immaginari è davvero un bel modo per creare un ponte in dialogo tra fanciullezza ed età adulta. Lavora nella ricerca delle risposte che albergano a metà, in quel passaggio dove spesso decade la naturalezza del pensiero ludico, sognante. La sua domanda è quella: se si smette di sognare, quand’è che si inizia a farlo? E allora: come si può tornare a farlo?
IF – Gli amici immaginari è al cinema dal 16 maggio con Eagle Pictures.