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Il Cigno Nero: catarsi carnale e cromatismi in divenire nel film di Darren Aronofsky
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Il Cigno Nero: catarsi carnale e cromatismi in divenire nel film di Darren Aronofsky

Tags: darren aronofsky, disney plus, film, il cigno nero, natalie portman
Il Cigno Nero: catarsi carnale e cromatismi in divenire nel film di Darren Aronofsky
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Il Cigno Nero: catarsi carnale e cromatismi in divenire nel film di Darren Aronofsky

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Il Lago dei Cigni, nella sua trama romantica, espone i temi fondamentali della danza ottocentesca, suddividendo cio? all?interno di tre atti, i due piani di rappresentazione del reale e dell?onirico, narrando la tragica storia di una principessa trasformata in un cigno per via di un sortilegio. Costretta in un corpo da uccello e nel piangere la sorte a cui ? ormai condannata, Odette apprende del tradimento dell?amato Sigfried con la sua seducente sosia/gemella in negativo Odile, e disperata, si lascia annegare in un lago. Ma (in uno dei suoi possibili epiloghi) per la principessa e le fanciulle prigioniere di Rothbart giunge finalmente l?alba e la loro parziale liberazione.

Tratto dalle fiabe germaniche di Johann Maus?us, il soggetto drammaturgico de Il Lago dei Cigni, oltre a ispirare molteplici versioni coreografate e finali pi? o meno ?felici?, nel 2010 torna all?attenzione di un pubblico ultra-operistico, grazie al film diretto dal newyorkese Darren Aronofsky che, servendosi dell?aura tragica e dualistica del balletto ottocentesco, ne fa il riverbero metaforico di un rito di passaggio tardivo ma indispensabile.

Femminilit? inceppata e lente corporea

Presentato in apertura alla 67? Mostra di Venezia e successivamente al Toronto Film Festival, Il Cigno Nero?s?incornicia nel quadro dei thriller psicologici a tinte horror del cinema moderno, prestandosi, sin dall?uscita, a numerose analisi critiche ed extra-testuali che hanno scandagliato e approfondito il sotto testo psicoanalitico, per la sua messa in scena figurativa di tematiche identitarie e formative quali il soggetto e il suo doppio, le ossessioni, l?autolesionismo, la sessualit? repressa, le relazioni madre-figlia. La lente ‘freudiana’ dunque, ? stata a lungo l?angolo visuale dal quale molti si sono posizionati per osservare il film, ma sta di fatto che Aronofsky lo ha provocato sempre attraverso il corpo e il suo lento disfacimento carnale in modo collaterale e parallelo, ribaltando, anzi servendosi, della finalit? del corpo della ballerina per disfare, sbrogliare, scardinare quella che potremo definire una femminilit? inceppata.

Carne, muscoli, ossa e sangue nella loro efficienza da macchina-umana, e (soprattutto), in quella macchina-danzatore, lavorata faticosamente per annullare la forza di gravit? e conferirle una sorta di splendore glorioso, nel film?Aronofsky e i suoi sceneggiatori Andr?s Heinz, Mark Heyman e John J. McLaughlin posizionano Nina in un limbo corporeo riverso all?inferno, gettandola in un sogno-incubo allucinato nel quale morire simbolicamente e rinascere per dire compiuto il? personale percorso di femminilit?/liberazione.

Horror quotidiano e appagamento sensoriale

Non ? un caso allora che Nina ci viene spesso mostrata in luoghi l? dove il corpo ritrova la sua funzionalit?: il bagno, accanto a sanitari o lavandini, inducendosi (forse, volontariamente) il vomito, oppure nella vasca da bagno e sul letto dove, nuda e sola, sperimenta in gran segreto dagli occhi schiaccianti della madre-chioccia l?autoerotismo, per riscoprire in autonomia l?appagamento sensoriale che, a detta del suo maestro e coreografo Vincent Cassel, le servir? per interpretare la controparte oscura Odile. Nel film il peso del corpo sulle punte provoca delle ferite agli alluci; nello svestirsi la ballerina mostra dei graffi sulle spalle provocate da comportamenti ripetuti che probabilmente si riconducono alla compulsione da disturbo ossessivo o autolesionismo. E se sono le unghie ad essere la causa delle escoriazioni, quest?ultime diventano artigli, e nel tagliarle fino alla carne, la madre tenta in una forma preventiva e punitiva di evitare che il prezioso corpo della figlia, si usuri.

Il vero horror meno fantasy e pi? pauroso, ne?Il Cigno nero non proviene quindi dalla trasformazione onirica in creature gotiche della protagonista, (piume, occhi rossi, volti mostruosi nell?allucinata performance finale). Ma piuttosto da una concreta e quotidiana relazione deformante e scandalosa con la corporeit?, che si traduce nel suo rendersi orrida in sequenze e gesti come nella celebre scena in cui Nina si preleva un?innocua pellicina per finire insanguinata (e poi accorgersi che ? stata solo frutto della sua mente). Oppure nella riluttanza al cibo, o nella rifrazione infinita della sua immagine sugli specchi.

Tendendo sempre costante la bussola psicologica e mentale a cui il film si affida per navigare nei meandri dei significati, Il cigno nero ? film fatto di carne e corpo, ? sessualit? e cromatismo in divenire fino al de-soffocamento erotico in quel bacio aperto, invasivo e invadente col maestro. E, che nell?acme metaforico ed estremizzato del rapporto sessuale col suo doppio e rivale Nina, ritrova l?estensione malvagia e libidinosa di una s? che finalmente, solo nella scoperta estatica e catartica della danza, perde in definitiva la verginit? dal bene.

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