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Il Cinema sullo schermo: 5 metafilm oltre C’era una volta a…Hollywood
Tags: a classic horror story, approfondimenti, c'era una volta a hollywood, cantando sotto la pioggia, film, irma vep, the disaster artist, the souvenir
Considerato il film di chiusura di un regista che come mai prima d?ora fa uso di inclinazione e adorazione per rendere omaggio ad un?arte creatrice di sogni, C?era una volta a?Hollywood ? la personale lettera d?amore firmata da Tarantino per dire grazie al gioco illusorio del Cinema degli anni sessanta e settanta, tra spezzoni di pellicole cult riproposte dal suo Leonardo di Caprio in versione attore western in piena crisi; ai cartelloni sui Boulevard californiani; alla vita da set scissa tra attese e copioni da assimilare, sino agli stuntman tutto-fare e pure galoppini fedeli ma opposti alle loro star.
L?ultimo film del regista de Le Iene e Bastardi senza gloria dissemina volutamente con ironia citazioni, omaggi e personaggi (Sharon Tate, Roman Polanski, Charles Manson, Jay Sebring, Bruce Lee) muovendosi dietro e oltre la telecamera, mostrando la finzione scenica della macchina cinema in azione nei camerini per poi sedersi col mento in su all?interno del buio della sala cinematografica, tornando a casa davanti alla tv per cenare con le prime serialit?, sempre e comunque davanti ad uno schermo. Ma C?era una volta a?Hollywood ? dunque solo uno dei metafilm recenti che hanno fatto dell?identificazione con l?oggetto filmico la loro stessa intenzione, e molti altri prima di lui hanno svelato i meccanismi di funzionamento del linguaggio, mettendo a nudo l?inganno della finzione mostrandone l?al di l? dello schermo. Eccone 5 da recuperare:
Scritto in dieci giorni e girato in meno di un mese, il sesto film del regista, sceneggiatore e critico francese Olivier Assayas vede Meggie Cheung nei panni di s? stessa girare il remake de I vampiri, celebre serial del cinema muto francese, dopo essere stata scelta dal suo regista Ren? Vidal (Jean-Pierre L?aud) per il ruolo della ladra Irma Vep. Accompagnata in giro per Parigi dalla costumista e vestita per il film da una tuta in lattice nero, la protagonista si ritrova nella baraonda caotica di un set partito in ritardo, scontrandosi suo malgrado con attrazioni romantiche (reciproche e non), e l?ego smisurato di registi pronti a tutto per le loro visioni. Rifacendosi al cinema muto, a quello delle arti marziali e affidandosi alla musica dei Sonic Youth e di Luna, Assayas compone una critica arguta sull’industria cinematografica francese degli anni Novanta e dell?incessante conflittualit? tra Arte e il cosiddetto intrattenimento commerciale.
Caposaldo dei film musicali divenuto subito grande classico, la pellicola diretta da Stanley Donen riflette con spirito sulle dinamiche cinematografiche nate a seguito dell?arrivo del sonoro nel 1927, in particolare sugli sconvolgimenti attoriali di star ancora poco esperte alla recitazione corpo e voce cos? come la intendiamo oggi. Presentata con coreografie magnificamente girate e di grande caratura artistica, Cantando sotto la pioggia spinge al massimo il talento e l?intesa del trio Gene Kelly, Donald O?Connor e Debbie Reynolds per regalare una storia romantica all?interno dei fasti della Hollywood degli anni d?oro, ironizzando sulle belle ma mediocri starlette del cinema muto e sulle prime ingombranti macchine per la registrazione del sonoro. Inserito al decimo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, Cantando sotto la pioggia ? meta e cult allo stesso tempo, una gioia performativa per gli occhi, e le orecchie.
Considerato uno dei film peggiori di tutti i tempi, additato perfino come il “Quarto Potere dei film brutti”, la storia vera dietro The Room, l?opera prima scritta, prodotta, diretta e interpretata da Tommy Wiseau ha ispirato anni dopo, con successo decisamente migliore, The Disaster Artist, basato a sua volta sull?omonimo romanzo dell?ex migliore amico di Wiseau Greg Sestiero. Quello di James Franco con il fratello Dave, Seth Rogen e Alison Brie ? la ricostruzione dei giorni sul set di quell?indimenticabile melodramma romantico che fece ridere il cinema americano nel 2003, tornando indietro sul finire dei ?90 agli albori dell?amicizia tra Wiseau e Sestiero all’insegna del grande sogno americano.
Riflettendo sul talento e sull?incompetenza, utilizzando pur sempre un?attitudine bonaria per nulla demolitrice, James Franco ricostruisce con cura maniacale alcune scene ormai stra note di The Room, dai ripetuti ciak di sequenze entrate nella storia, e mimando alla perfezione tonalit?, sembianze e atteggiamenti di un Tommy Wiseau certamente ridicolo, ma in cui si pu? ritrovare una dedizione e un desiderio di realizzazione cinematografica come pochi altri. Ed ? forse proprio questo l’aspetto che il film di Franco ha voluto evocare.
? su quel twist in dirittura d?arrivo che il sorprendente horror Netflix di Roberto De Feo e Paolo Strippoli si toglie la maschera del film citazionista per svelare la sua vera identit? meta cinematografica, aprendo una sagace riflessione sul mestiere del regista e delle complesse realt? produttive del cinema di genere in Italia. Dopo l?ampio primo atto folto di omaggi e di clich?, il personaggio interpretato da Francesco Russo scoperchia difronte agli occhi di un?incredula e spaventata Matilda Lutz la vera natura di quella casa nel bosco, di quel culto calabrese che la perseguita, di quelle morti a favore di camera e previste da uno script che ha fatto fuori uno dopo l’altro i suoi compagni di viaggio. A Classic Horror Story sorprende esattamente per l?entrata in scena di un aspetto produttivo, creativo e fruitivo al quale lo spettatore rimane incuriosito e meravigliato come la sua stessa protagonista, discostandosi dalla monotonia del citazionismo fine a s? stesso, ma anzi sfruttando il concetto di finzione scenica per costruire un?impalcatura ben pi? profonda.
Mai arrivato nelle sale cinematografiche italiane, ma presentato nella sua seconda parte all?interno del recente Festival di Cannes 2021, il doppio film di Joanna Hogg ? la storia d?amore e cinema di Julie (Honor Swinton Byrne) alter ego della regista inglese, quando sul finire degli anni ottanta era una ventenne studentessa d?arte in una prestigiosa scuola di cinema nel sud-ovest di Londra. Con The Souvenir la Hogg torna indietro nel tempo, a quando s?innamor? perdutamente di un uomo pi? grande di lei (Tom Burke), e provando a riflettere su come quella relazione di co-dipendenza e di ingenuit? ha plasmato la sua vocazione artistica e le prime difficolt? interiori dell?atto originario dell?ideazione, scrittura e realizzazione. Coming-of-age romantico e autodistruttivo, autobiografia sofisticata e anticonvenzionale, The Souvenir ? infondo una storia sul processo creativo e dunque un film nel film, assumendo a tratti toni del memoir e dell?addiction drama. Ritagliando e ricucendo pezzi di ricordi, lettere, diari e appunti personali Joanna Hogg affida all?intensa chimica fra i due attori protagonisti momenti di vita vissuta e di reminiscenze sul Cinema come conservatore privilegiato delle nostre memorie.