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Martina Barone
Il Grande Gioco: recensione della serie con Francesco Montanari su Sky
Tags: francesco montanari, Il Grande Gioco, sky
Dal 18 novembre arriva su Sky la nuova serie Il Grande Gioco che mescola mondo del calcio con un losco e intricato giro di accordi e affari
C’è una cosa che l’Italia sta imparando sempre più a fare e sono le serie tv. È indubbio che Sky sia un asso nel panorama nostrano quando si tratta di sapere e decidere quali progetti produrre, andando vicino alla sensibilità e al gusto del proprio pubblico, nutrendolo di operazioni e storie che siano all’altezza del catalogo offerto.
Lo è dai tempi di 1992, lo è per lo sforzo investito da Sky e dalla Groenlandia di Matteo Rovere con un esperimento come Romulus, arrivato alla seconda stagione, e si rivela esserlo con le sue due prime puntate di Il Grande Gioco, racconto a puntate di un procuratore sportivo e il suo obiettivo di bruciare il sistema dalle fondamenta.
Stesso sistema che lo ha cacciato fuori, che lo ha incastrato in un giro di scommesse in cui gli si è rivolto contro anche il padre, preferendo i soldi piuttosto che salvare la reputazione e la fedina penale del figlio. Un uomo che, all’apparenza, ha perso tutto eppure è ancora talmente ben inserito nei corridoi del calcio mercato da poter agire silenziosamente dall’interno. Sia cercando di alzare alcuni soldi necessari per portare avanti il suo processo, sia per riacquistare il posto che giustamente gli spetta e che qualcuno violentemente ha cercato di sottrargli.
Una mescolanza tra mondo dello sport e serialità serrata che evidenzia una certa qualità fin dal principio di Il Grande Gioco, anche se è impossibile non avanzare alcuni appunti e paragoni con ciò che ci ha offerto nel corso degli ultimi anni l’immaginario televisivo internazionale.
Seppure Il Grande Gioco dimostra di sapersi adattare a un ritmo cadenzato che è certamente una delle spinte che più di altre intrattiene lo sguardo e l’attenzione dello spettatore, ad un occhio più allenato molti degli stilemi utilizzati e delle linee narrative proposte ricordano un’altra serie il cui successo è riverberato, ovviamente, a livello mondiale. Succession sembra essere la fonte della fortuna da cui i realizzatori Tommaso Capolicchio, Giacomo Durzi, Filippo Kalomenidis e Marcello Olivieri hanno voluto bere e che hanno poi riflesso anche nelle scelte stilistiche delle riprese e della messinscena.
L’opera per la HBO ideata da Jesse Armstrong è il campo da cui Il Grande Gioco sembra partire per fare qualcosa che, effettivamente, a livello di regia e di impostazione ancora poco si era visto in Italia, ma che in quegli zoom ravvicinati e improvvisi, in quel movimento continuo della camera e nel riprendere attraverso le superfici di vetro negli uffici rivede con trasparenza la serie americana. Un voler trarre per saper adattare al tessuto nostrano, certamente, ma anche presa a piene mani di un’ispirazione che non è solo suggerita, ma è evidente davanti la macchina.
Anche lo spunto primo della trama sembra richiamare con chiarezza le svolte che Succession ha delineato nel suo doppio legame tra tema del lavoro e quello della famiglia. Ne Il Grande Gioco il personaggio interpretato da Giancarlo Giannini non è altro che il doppio del capo intransigente e padre di famiglia autoritario del Logan Roy di Brian Cox. Un uomo a capo di una società che ha comandato per decenni e di cui, proprio come Logan, ha deciso di lasciare le redini al figlio. Giovane con poco talento per gli affari, ma tantissima passione, a differenza della ben più brava e preparata sorella Elena (Elena Radonicich), una Siobhan all’italiana che, alla fine delle due puntate, vedremo voler mettere a repentaglio la fiducia del padre pur di mantenere l’azienda a galla (proprio come ha tentato di fare il personaggio interpretato da Sarah Snook).
Troppe coincidenze per non vedere un pattern che Il Grande Gioco ha voluto anche solo leggermente riprendere, per trasportarlo poi su di una pelle che fosse più personale e si inserisse in un argomento così vivo e centrale nella nostra conoscenza comune. Quella che il calcio unisce all’aspetto seriale e che potrebbe effettivamente avere un ottimo richiamo sull’audience.
Somiglianze a parte, con Il Grande Gioco i suoi realizzatori hanno saputo mettere a segno un prodotto che pone bene gli incentivi per domandarsi chi si cela dietro gli stratagemmi che hanno voluto fuori il protagonista Corso Manni, rendendosi presto conto di trattarsi solamente di una pedina in una scacchiera più espansa. Ginepraio in cui sanno muoversi bene gli attori, dando credibilità alle alte sfere calcistiche e ai soldi e al veleno che si portano appresso.
Una serie che potrebbe catturare il proprio pubblico e sollecitare la visione settimanale per scoprire fino a dove possono spingersi i vertici del potere, dimenticando la gioia prima per cui ci si era avvicinati ad una passione come in questo caso quella del calcio, fatta soffocare sotto mazzette, bugie e pubblicità.