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Alessio Zuccari
Il libro delle soluzioni: recensione del nuovo film di Michel Gondry
Tags: il libro delle soluzioni, michel gondry, pierre niney
Oltre ad essere qualcosa che si fruisce, il cinema è anche una pratica. Il cinema è qualcosa che si fa. E fare cinema è un mestiere capace di consumare, di andare a logorare l’estro creativo un poco alla volta e di lasciarlo in balìa dei punti interrogativi. Checché se ne possa pensare, fare film è faticoso. Basti chiederlo a Marc (Pierre Niney), regista stralunato e nevrotico al centro de Il libro delle soluzioni, l’ultimo film scritto e diretto dall’inafferrabile Michel Gondry.
Marc scappa dai produttori che gli chiedono il conto del suo lavoro, scappa dai collaboratori che assecondano tutte le sue paturnie. Scappa soprattutto dalla sua opera. La sua paziente montatrice Charlotte (Blanche Gardin) prova ad esortarlo e metterlo davanti al monitor: deve confrontarsi con questo film da portare a termine. Ma lui niente, non ne vuole sapere. Marc il film non lo vuole finire. Anzi: vuole finirlo, ma sente di essere sempre in difetto di qualcosa, che gli manca questo o quello.
E allora porta la sua ristrettissima troupe in un paesino di campagna dove vive l’amata zia Denise (Françoise Lebrun) e qui prova ad acciuffare il giusto ordine degli eventi. Lo tormentano però una depressione latente che fa fare la trottola al suo umore ed una creatività fanciullesca, che non addomesticabile schizza qui e lì e scivola giorno dopo giorno in un gorgoglio di dieci, cento, mille idee diverse. Marc si inventa così il libro delle soluzioni, che come lui stesso ammette sono differenti dalle idee, utile a raccogliere un metodo da imprimere nero su bianco con cui fronteggiare e sconfiggere i problemi.
E come Marc inventa il libro, Gondry ci inventa sopra il film omonimo, in cui non sembra difficile rintracciare i punti di contatto tra regista e protagonista. Il libro delle soluzioni assume infatti la forma anarchica di una divertita e divertente seduta terapeutica, di un esorcismo nei confronti della pratica produttiva cinematografica. È un’opera che descrive con grande piglio di ironia lo sciuparsi della creatività quando messa nelle griglie, il rigetto nei confronti della propria creatura e di un’industria che chiama al telefono e tempesta di mail.
Un mondo che Gondry, nato nel videoclip e considerato uno dei maggiori contaminatori tra questa estetica e quella del cinema, nell’ultimo decennio ha accarezzato solo in un paio di occasioni. Un prodigio che al suo secondo lavoro cinematografico, Se mi lasci ti cancello, vince il premio Oscar alla Miglior sceneggiatura. Poi vortica ancora un po’ dalle parti di Hollywood fino a distanziarsene anno dopo anno. Al suo Marc affida quindi il compito di farsi portavoce di turbamenti buffi e anche un po’ infantili, di spiegare attraverso l’umorismo le traiettorie inclinate del pensiero dell’artista e di chiedere però anche scusa a chi, sempre per mestiere, tocca stare vicino a una personalità simile.
Il libro delle soluzioni non può quindi che rivelarsi un’eclettica novella sul mistero buffo del fare un’arte che non è solo arte – ma, appunto, anche industria, quindi interesse economico e non è un caso che il parlare di soldi e budget sbuchi sempre lungo il film, pur se liquidato alla stregua di un gioco. Gondry lo confeziona con grande onestà e con una varietà di soluzioni che ci ricorda perché Gondry sia proprio Gondry, vorticando dietro a un alter ego che è principe del suo caos e fuggiasco di fronte anche all’ultimo istante.
Il libro delle soluzioni è al cinema con I Wonder Pictures dall’1 novembre.