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Il regno del pianeta delle scimmie: recensione del nuovo capitolo della saga
Alessio Zuccari

Il regno del pianeta delle scimmie: recensione del nuovo capitolo della saga

Tags: Freya Allan, il regno del pianeta delle scimmie, Owen Teague, wes ball
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Alessio Zuccari

Il regno del pianeta delle scimmie: recensione del nuovo capitolo della saga

Tags: Freya Allan, il regno del pianeta delle scimmie, Owen Teague, wes ball

Wes Ball è alla regia di un sequel ambientato 300 anni dopo la morte di Cesare. Tra eredità distorta, sete di ambizione e viaggio dell’eroe, un coming of age che è avventura archetipica.

Gli occhi di Cesare sono tra i più sconvolgenti della storia del cinema. È impossibile fissare quei due bulbi lavorati digitalmente – a partire dall’espressione di Andy Serkis – e rimanerne indifferenti. Lì dentro c’è tutto: prima tanta sofferenza, poi molto amore, poi ancora il tormento di un padre e leader. C’è soprattutto la formula del successo della trilogia reboot del Pianeta delle scimmie, che con Apes Revolution (2014) e The War (2017) ha segnato due picchi per il blockbuster contemporaneo. Ecco, dagli occhi di Cesare, stavolta chiusi, parte Il regno del pianeta delle scimmie.

Il film diretto da Wes Ball e scritto da Josh Friedman con la prima transizione sul funerale della scimmia, e quindi con il primo culto dei morti, racconta in trenta secondi un avanzamento di tre secoli e il passaggio a una civiltà agli albori. Il testimone della saga passa allora ad un altro sguardo, quello di Noah (Owen Teague), lo scimpanzè protagonista de Il regno del pianeta delle scimmie, che quella profondità emotiva di Cesare probabilmente non la raggiunge mai. Sia chiaro, anche qui, non se ne può rimanere mai del tutto distanti. Lo sguardo, in una saga come questa, argomenta sempre più delle parole.

Il viaggio dell’eroe Noah

Il regno del pianeta delle scimmie: recensione del nuovo capitolo della saga
Photo Credits: 20th Century Studios

Adesso, però, le scimmie hanno quasi del tutto abbandonato la lingua dei segni e fatta propria la vocalizzazione. Parlano e vivono in villaggi, mentre degli umani sono rimasti solo pochi scampoli regrediti a uno stato primitivo. Per molti aspetti questo nuovo capitolo è un film più dritto, più lineare rispetto ai precedenti. Chiama immediatamente l’eroe a compiere il proprio viaggio. Il villaggio di Noah viene infatti attaccato, suo padre ucciso e il resto del clan rapito per ordine di un ambizioso re, Proximus (Kevin Durand). A Noah, unico superstite, il compito di mettersi in cammino per tentare di liberare il gruppo dalla prigionia.

Attraversa un’America ricolonizzata dalla natura, che in questa misura visiva nella cultura pop recente ci hanno già fatto conoscere le saghe videoludiche di The Last of Us e soprattutto Horizon, incontra un mentore, l’orango Raka (Peter Macon) e incrocia per la prima volta la strada con un’umana, Nova (Freya Allan). Ma questa umana non è come tutti gli altri, non è una selvaggia. E su di lei, figura più ambigua del previsto, Il regno del pianeta delle scimmie porta avanti una discussione di decentramento e relativizzazione dell’essere umano, a partire da quale specie adesso mette alla berlina e deve mostrare compassione. E prosegue su chi ora è cacciatore e su chi è preda.

I rintocchi attraverso i quali si procede in avanti sono molto più archetipici per l’avventura, quasi da manuale di sceneggiatura, che shakesperiani per come lo erano nel conflitto interiore che dilaniava Cesare. Si capisce, allora, anche perché la scelta di ingaggiare un regista come Ball, in precedenza alla guida della trilogia per ragazzi di Maze Runner, a cui è affidato in sostanza il timone di quello che è a tutti gli effetti un coming of age, tra prove di maturità, amicizie, alleanze e cotte adolescenziali. È il tentativo, insomma, di costruire da zero una nuova mitologia con cui attrarre anche un nuovo pubblico (quello della Gen Z), utilizzando formule meno crepuscolari – e quindi magari meno incisive – della precedente trilogia.

Il seme di un nuovo grande racconto contemporaneo?

Il regno del pianeta delle scimmie: recensione del nuovo capitolo della saga
Photo Credits: 20th Century Studios

Ma questo Il regno del pianeta delle scimmie è un’opera che comunque è anche panoramica su come la storia e i suoi lasciti vengano distorti e disarticolati, impugnati dalla sete d’ambizione individuale per farne arma con cui legittimarsi, imporsi, elevarsi, che è uno dei temi caldi del nostro presente. Dove i custodi della verità, qui il quasi estinto Ordine di Cesare a cui appartiene Raka e che ha il compito di tramandare la conoscenza e la memoria, sono scomodi e braccati – forse, si può intuire, anche con un accenno di razzismo.

Su tutto spicca ancora in un’occasione il lavoro magistrale dell’effettistica visiva (sotto la supervisione di Erik Winquist), in una saga simile vero anello di congiunzione tra le specie: quella umana, quella dei primati e quella digitale. Si crede all’interazione e si crede alla pulsazione interiore dei protagonisti, al loro coesistere nello stesso spazio e con lo stesso stupore quando si alzano gli occhi e si guarda al cielo. E anche se il carisma di Cesare, tra i migliori personaggi del ventunesimo secolo cinematografico, è stella distante, chissà che qui non ci sia il seme di un nuovo grande racconto.

Il regno del pianeta delle scimmie è al cinema dall’8 maggio con 20th Century Studios.

Guarda il trailer ufficiale de Il regno del pianeta delle scimmie:

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