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Alessio Zuccari
Inarrestabile: recensione del film di William Goldenberg su Prime Video
Tags: bobby cannavale, Don Cheadle, Inarrestabile, jennifer lopez, Jharrel Jerome, prime video, William Goldenberg
Se in un film compare un poster di Rocky nei primi cinque minuti, probabilmente possiamo già farci un’idea di dove stiamo andando a parare. Non che Inarrestabile, diretto da William Goldenberg e in streaming su Prime Video, vada a nascondersi sotto a un tappeto. E infatti è negli intenti una pellicola sportiva nuda e cruda, con tanto di storia vera: quella di Anthony Robles, statunitense che negli anni Dieci è stato campione di wrestling universitario nonostante sia nato con una gamba sola.
Allora, se ci si battezza sotto la stella dello sconfitto per eccellenza pensato e interpretato da Sylvester Stallone, da aspettarsi c’è ovviamente il racconto dell’underdog. Che fa rima con il pollice alzato del film crowd pleaser: a che altro servirebbe, sennò, la storia di un destinato a fallire che grazie alla forza d’animo riesce a risalire la corrente e a farcela?
Perché Anthony (Jharrel Jerome) è un underdog per antonomasia: disabile, latino e in rapporto conflittuale con la figura del padre (Bobby Cannavale), uomo abusante e assente che mette i bastoni fra le ruote a tutta la famiglia e soprattutto alla moglie (Jennifer Lopez). Il protagonista di Inarrestabile rispetta insomma alla perfezione i parametri per un’opera da piattaforma che voglia compattare il pacchetto di temi (tra cui un perfetto incrocio di rappresentabilità delle minoranze) assieme al balsamo emotivo della rivalsa.
In una famiglia numerosa, tra cibo spazzatura in tavola, bollette che si accumulano e avvisi di sfratto, Anthony è il ragazzo d’oro. Non solo ottiene risultati sportivi notevoli a scuola sotto lo sguardo di un allenatore-mentore (Michael Peña, sottoutilizzato), ma di notte lavora pure come inserviente all’aeroporto. Solo che quando arriva il momento di scegliere in quale college andare, deve capire che fare: accettare l’unica borsa di studio che gli è stata offerta, oppure tentare la sorte in una università più quotata ma con un carico economico differente?
Si resta francamente sempre sbigottiti, da esterni a quel tipo di concezione classista e privata del merito, di fronte all’impostazione della formazione scolastico-accademica americana. Che concepisce l’università come merch, come brand, come senso di appartenenza. Come un sistema interiorizzato basato sul merito dove il merito però non basta, si scontra con il denaro, con i prestiti, se va bene con la solidarietà di qualcuno. Non che Inarrestabile lo osservi mai in maniera critica a livello strutturale, nemmeno quando le avversità mettono in crisi la perseveranza di Anthony. Non è un film che sta qui a pontificare sull’assurdità del meccanismo. Al massimo riconosce che ogni tanto il meccanismo s’inceppa.
Però lungo il racconto, sceneggiato da Eric Champnella, Alex Harris, John Hindman, si inceppa pure la compattezza drammaturgica di Inarrestabile. Ma non doveva essere una storia a carattere sportivo? In fondo lo è, ci sono gli allenamenti, la preparazione, altre guide (Don Cheadle), un avversario, i match. Il punto è però che non pare mai il punto. Tra sfilacciamenti narrativi e strane ellissi (si salta di uno, due, tre anni nell’arco di una didascalia) il film abbraccia un lato civile per porre una dimensione tematica anche a tutto quello che sta nella sfera del privato a confronto con il pubblico.
E che in realtà serve, probabilmente, per dare spazio di manovra a J.Lo (anche produttrice con la sua Nuyorican Production, al fianco di Ben Affleck) utile a costruire uno spessore di donna-contro-le-avversità a questa madre che va ad interpretare – dopotutto “l’essere riuscita”, da donna e da latina, è uno dei pilastri fondativi della mitologia dell’artista portoricana.
Ma le deviazioni che la pellicola imbocca in virtù di ciò sono i momenti più sbiaditi e collaudati dell’intero racconto, che in un genere codificato per lo stare appresso a determinati archetipi porta via attenzione e tensione. Un problema correlato sicuramente anche al fatto che Inarrestabile dura troppo. Due ore in cui ci sono eccessive occasioni per distrarsi, per dilatare i tempi in cui si infiltra questo e quello, lasciando tutto sospeso in un tono di mezzo dove ogni cosa resta davvero motivazionale solo in relazione allo spunto ‘da storia vera’ di partenza.
Inarrestabile è in streaming su Prime Video dal 16 gennaio.