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Martina Barone
Io sono l'abisso: recensione del film thriller di Donato Carrisi
Tags: Donato Carrisi, Io sono l'abisso
Lo scrittore arriva alla sua terza pellicola e lo fa con Io sono l’abisso, opera che mostra come il male genera altro male
Donato Carrisi fa una richiesta insolita a coloro che scriveranno e si approcceranno alla recensione o agli articoli riguardo a Io sono l’abisso, suo terzo film da sceneggiatore e regista, originariamente tratto da un proprio romanzo. L’autore chiede di non diffondere il nome del cast della pellicola, di non citarne o riportarne i nomi, aumentando l’esperienza di coinvolgimento dello spettatore, che come è stato per il lettore del libro omonimo si è trovato di fronte a diciture come “la donna che puliva” o “l’uomo che passeggiava” senza dare mai una connotazione definita ai personaggi.
Una richiesta avanzata dal creatore stesso e che per questo è bene rispettare, ma la cui utilità per il coinvolgimento dentro all’opera è quasi nulla, anzi impedisce di poter avvalorare un lavoro sui suoi interpreti che fa la metà della riuscita di Io sono l’abisso. E, in più, viene posta pur se a conti fatti i nomi che vanno componendo la pellicola non hanno un immediato richiamo nel pubblico generalista, seppur alcuni stanno diventando ben noti. Non rischiando perciò di oscurare di certo la filigrana dell’opera thriller che giova anzi delle loro interpretazioni, visto anche il fatto che Carrisi ha avuto a che fare con divi nostrani di ben più deciso richiamo come era capitano con Toni Servillo o addirittura internazionali quali Dustin Hoffman.
Sta di fatto che Io sono l’abisso vuole rimanere per l’autore un film avvolto nel medesimo mistero che, molte volte, viene intrecciato dal destino, quello che mette in comunicazione le persone e spesso lo fa con i personaggi. A legare le pedine all’interno di Io sono l’abisso è un male che genera altro male e che continua imperterrito a sormontarne ancora, finché questo cerchio inarrestabile non viene spezzato. Finché un serial killer che si concentra primariamente su donne di più di sessant’anni con i capelli biondi e la passione per i locali notturni non salva dall’annegamento una tredicenne ubriaca che tenta il suicidio pur di non dover più affrontare gli abusi di un ragazzo che la tiene sotto scacco.
Individui distanti per vita e ruoli, età e condizioni sociali, nei quali però si riconoscono dei tratti comuni che sono gli stessi che l’omicida rivedere. Una sofferenza che sembra chiamarlo come una sirena mentre il corpo della ragazzina viene trascinato vorticosamente dal lago, lanciandosi con velocità disperata mentre cerca di agguantarla, portandola a riva e mettendo in moto con quel gesto delle indagini sul proprio conto e le vittime che si lascia dietro.
Io sono l’abisso è l’indagine che Donato Carrisi rende diegetica attraverso un’indagine, seppur ufficiosa, e il reportage delle vessazioni di cui l’assassino è stato afflitto fin da quando era piccolo e che l’hanno cambiato profondamente. Ne hanno condizionato gli umori, ne hanno confuso la mente, lo hanno visto ricettacolo di una violenza che lo ha fatto crescere in una cattività la quale lo ha costretto a diventare a propria volta un mostro. Un male che tutto quello che conosce è il male stesso, non potendo fare altro se non perpetrarlo, modificando percorsi e carattere di una persona.
Un’analisi compiuta e degnamente riportata, resa romanzo e tramutata poi in pellicola mantenendo saldi degli apporti letterari che si identificano con immediatezza all’interno dell’operazione d’adattamento. Una lettura che, se può prendersi delle pause o dei respiri tra una pagina e l’altra, dovrebbe presentare un più adeguato e cadenzato ritmo quando viene trasposta per il grande schermo. Un insieme compassato che per Io sono l’abisso avrebbe avuto bisogno di essere reso in maniera più concisa, ma restituisce comunque bene il cuore nero e portante dell’opera. Un altro lavoro di Donato Carrisi che prosegue nel thriller mostrandoci quanto può essere trainante il dolore. Quello che ci procurano gli altri e quello che sentiamo di essere costretti a fare.