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Alessio Zuccari
La profezia del male: recensione del film horror sui tarocchi
Tags: Anna Halberg, La profezia del male, Spenser Cohen
Gli esordienti al cinema Spenser Cohen e Anna Halberg scrivono e dirigono un film che cavalca l’onda del recente revival di tarocchi e oroscopi. Le idee sono poche e ad uscirne fuori è un maldestro disastro.
Ci sono film che della contemporaneità seguono il corso, con le sue tendenze, i suoi spunti di riflessione, le sue contraddizioni. E poi ci sono film che invece il corso della contemporaneità lo inseguono, strappando dalle tendenze, dagli spunti di riflessione e dalle contraddizioni esili brandelli con i quali potersi poi schermare e affermare di stare al passo con i tempi. La profezia del male (titolo vago che prova a schivare il didascalismo dell’originale, Tarot), scritto e diretto dal duo esordiente al cinema di Spenser Cohen e Anna Halberg, appartiene a questa seconda categoria.
Il film prova a mettere al centro del mirino, e dell’inquadratura, il suo pubblico ideale: la Gen Z. Quindi ne assorbe l’eterogeneità etnica e sessuale, la fissa per i podcast true crime e, soprattutto, il grande revival tutto recente della fascinazione per il mondo dell’oroscopo e dei tarocchi. Un gruppetto di studenti del college – benestanti, simpaticoni, tutti in tiro – ha affittato una grande villa per il compleanno di una di loro. Rovistando dove non dovrebbero trovano una scatola con dentro un mazzo di tarocchi, e siccome c’è chi conosce e pratica l’astrologia (Harriet Slater), decidono di farsi leggere l’oroscopo uno ad uno.
I presagi che ne escono fuori non sono dei migliori, ma per loro è un gioco e la mattina seguente se ne tornano in massima serenità al campus. Se non fosse che proprio a partire da quel giorno seguente le ragazze e i ragazzi (Adain Bradley, Avantika Vandanapu, Wolfgang Novogratz, Humberly González, Larsen Thompson, Jacob Batalon) iniziano a morire come mosche uno dopo l’altro. Proprio nei modi e nella sequenza che i tarocchi avevano predetto. Solo che a questo punto la sceneggiatura di un film come La profezia del male, che è chiaro andarsi molto presto ad incanalare nel solco di un binario che più dritto non si può, avrebbe bisogno della forza elastica di un balzo o dello slancio di una visione.
La lettura di come saranno e andranno a finire le cose è però tremendamente programmatica, in un tentativo di emulazione, alla rovescia, dell’intrattenimento tutto macabro di Final Destination. Ma la fortuna, alterna, di Final Destination stava nella capacità di torcere il desiderio del gore dello spettatore con estro e creatività. Cose, entrambe, che mancano del tutto a La profezia del male e al suo bieco tentativo di fare un gioco dell’horror spicciolo e appestato, dall’inizio alla fine, da quella piaga dello shock effimero degli jumpscare. Quella dei ragazzi dovrebbe essere una corsa contro la morte tutta ansia e fiato corto in gola, ma si sciorina più che altro come una passeggiata sbadigliante nel reame di un orrore che è showreel dei grandi nomi del genere (Scream, Halloween). Senza afferrarne, ovviamente, il battito.
E diviene quindi evidente come La profezia del male non sia mai in grado di mettersi davvero in relazione con quel pubblico a cui guarda e di cui prova a fare una goffa posa. Dice di rivolgersi a loro, a quei giovani, ma non pone mai come spunto di discussione i loro strumenti linguistici, i loro mezzi espressivi, lo scarto vertiginoso tra lo spiritismo e il digitale degli smartphone (come faceva, ad esempio, l’ottimo Talk to Me). Questo esordio di Cohen e Halberg è insomma un compito da matita rossa, dove l’occhio che si è buttato al vicino di banco ha colto poco e male. Il risultato è allora sì un tarocco, ma non di quelli che si leggono sopra un tavolo.
La profezia del male è al cinema dal 9 maggio con Sony Pictures.