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Cristiana Puntoriero
L’amante di Lady Chatterley: recensione del film Netflix con Emma Corrin
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Dopo il matrimonio con Sir Clifford Chatterley, Connie prende il titolo di Lady Chatterley e sembra destinata a una vita di ricchezza e privilegio. Ma questa unione ideale poco a poco si trasforma in una prigione quando Clifford torna dalla Prima guerra mondiale con ferite che gli impediscono di camminare. L’incontro con Oliver Mellors, il guardiacaccia delle proprietà della famiglia Chatterley di cui si innamora, spinge la protagonista in una relazione segreta che la porta a un risveglio sensuale e sessuale. Quando il rapporto diventa però oggetto di pettegolezzi, Connie si trova di fronte a una decisione che potrebbe sconvolgerle la vita: seguirà il suo cuore o tornerà dal marito accettando quello che la società edoardiana si aspetta da lei?
Quando nel 1929 per la prima volta fu pubblicato in Italia L’amante di Lady Chatterley, molti gridarono allo scandalo. La storia di una nobildonna dell’Inghilterra benpensante e del suo tradimento al povero marito paraplegico suscitò l’indignazione del pubblico, il quale forse, mai così esplicitamente, aveva sul comodino un libro osceno, sessualmente spudorato e moralmente inopportuno.
L’opera che rese celebre il poliedrico artista inglese, non solo scrittore ma anche saggista, pittore e drammaturgo David Herbert Lawrence, considerato tra i volumi più famosi del XX secolo, a ripensarlo oggi sembra una sorta di Cinquanta Sfumature ante litteram, un romanzo rosa pre era Harmony in cui la componente erotica di un inedito piacere femminile solleticava l’interesse di un pubblico che non avrebbe mai ammesso di averlo letto e di essersi perfino appassionato – ora, lo sapete tutti, si chiamano guilty pleasure.
Quella della giovane Constance, futura milady, rinchiusa in un matrimonio asfissiante e apaticamente circoscritto in una tenuta della rigogliosa campagna di Wragby, è d’altronde la più classica delle storie di emancipazione femminile che passa attraverso il piacere carnale e l’infedeltà, da cui ha preso forma il prototipo letterario dell’eroina fedifraga innamorata di un uomo della classe medio-povera destinata per questo all’infelicità, e che va da donne iconiche come Madame Bovary di Flaubert alla Lady Macbeth del russo Nikolaj Leskov, dall’Anna Karenina di Tolstoj a La signora col cagnolino di Anton Cechov, giunta poi sino al cinema con film piuttosto destabilizzanti quali L’amante Inglese, Unfaithful, Little Childen.
L’opera di Lawrence, infatti, e con esso la prima parte del suo ultimo adattamento filmico, stavolta per Netflix diretto dalla francese Laure de Clermont-Tonnerre, conserva la staticità e la progressiva dolente malinconia vissuta dalla protagonista col marito reduce di guerra e per questo sterile, seppur confortata da ogni privilegio economico e da un milieu sociale fatto di uomini in divisa e da chiacchiere da tè delle cinque. E in quest’aspetto bon ton della premurosa compagna Connie, la dolcezza nostalgica e dinoccolata del volto e del corpo di Emma Corrin sembrano restituirci alla perfezione l’aria aristocratica ma velata da un patimento interiore che formalmente apostrofa non solo la rappresentazione iconografica delle donne inglesi del primo Novecento, ma che sembra ammantare l’andatura poetica del film tutto.
Lirico e raffinato a tal punto da risaltare con estrema meticolosità l’evidente cura formale impiegata nella ricostruzione storica e scenografica dai costumi al decor, dell’ultima rilettura di Lady Chatterley si è cercato di modernizzare il racconto enfatizzando rispetto ai suoi precedenti (gli altri furono diretti da Marc Allégret, Just Jaeckin, Lorenzo Onorati, Frank De Niro, Ken Russell, Pascale Ferran, Jed Mercurio) la componente sensuale che si accende in crescendo fra la protagonista e appunto il suo amante della working-class, interpretato qui da Jack O’Connell in una versione focosa e parecchio eccitata del guardacaccia Oliver Mellors.
Fra i due si accendono con abbondante fervore, tanto la limitare la visione ai maggiori di diciotto anni, scene più o meno esplicite di corpi che consumano la passione in un capanno e nudità che s’intrecciano e si accarezzano fra le bellezze della natura in fiore, scansando al massimo il pudore e le allusioni delle versioni precedenti perché coerente con l’idea di sfruttare le libertà concesse dai nuovi linguaggi delle piattaforme e della nostra epoca anti male gaze, sempre più libertina senza poi esserlo pienamente.
Appurata l’evidente chimica epidermica fra la Corrin e O’Connor, la pellicola dopotutto prosegue e si adagia su una certa compostezza flemmatica, in cui sembra mancare soprattutto un risvolto sostanzialmente tragico in grado di trascinare lo spettatore nelle tribolazioni amorose fra due esseri umani impossibilitati ad amarsi perché ostracizzati dai codici e dai pregiudizi della società, rendendo così quelle sequenze al alto tasso erotico l’unico fuoco fatuo di un’attrazione e una pulsione che non arde mai per conto suo.
L’amante di Lady Chatterley appare dunque come un’operazione che osa solo e solamente dov’è troppo facile osare, mostrandoci il sesso per quello che è o per come vorremmo che fosse, ma perdendosi in tutto quello stile letterale e freddamente colorato che si dimentica di farci, sul serio, provare qualcosa al di là di quello che accade sotto le lenzuola.