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Alessio Zuccari
42TFF | Les Barbares, recensione del film di Julie Delpy
Tags: 42TFF, Julie Delpy, Les Barbares
“Sul mercato dei rifugiati gli ucraini sono molto richiesti”. Questa è una delle prime battute, e probabilmente la più esilarante, di Les Barbares, il nuovo film diretto da Julie Delpy e presentato in anteprima italiana nel Fuori Concorso del Torino Film Festival 2024. Un’opera messa in fiaba (inizia all’insegna del C’era una volta…) e divisa in cinque atti che raccontano del paesino di Paimpont, in Bretagna. Un villaggio tranquillo dove regnano armonia e cortesia, in cui la giunta comunale decide di compiere una buona azione da incorniciare con tanto di servizio al TG: accogliere una famiglia di rifugiati in fuga dall’Ucraina in guerra.
Solo che a un certo punto questa famiglia pare sia stata dislocata altrove. In effetti il sindaco Sébastien (Jean-Charles Clichet) aveva avvisato, dura lotta quella per accaparrarsi profughi dell’est. Allora che si fa? Si decide di dirottare l’accoglienza nei confronti di una famiglia di siriani, madre (Dalia Naous), padre (Ziad Bakri), figlia, figlio, zia (Rita Hayek) e nonno (Helou Fares). Però no, questa scelta dell’ultimo momento ad alcuni proprio non va bene, come al bigotto e irriducibile Hervé (Laurent Lafitte). Passino gli ucraini, ma i siriani si devono rispedire a pedate da dove arrivano.
In un periodo in cui il problema della gestione dei flussi migratori è una questione reale, concreta, complessa da gestire e forse impossibile da risolvere come vorrebbero i proclami dell’altisonante politica delle propagande, Les Barbares sceglie la commedia e l’ironia per parlare delle percezioni sociali, dei luoghi comuni, delle differenze tra serie A e serie B. Sì, anche tra i migranti. Come se la natura delle bombe o delle carestie fossero differenti. Ma differente è di certo il colore della pelle, dei capelli, degli occhi. Lo commentava già con grande asprezza il finale di Green Border di Agnieszka Holland (nel quale ricorre tra l’altro Naous), opera passata per il Festival di Venezia 2023 e in quell’occasione celebrato con il Premio speciale della giuria.
Il film, la cui sceneggiatura è scritta da Delpy assieme a Matthieu Rumani e Nicolas Slomka con la collaborazione di Léa Doménach, coglie invece nell’intento tra l’educazione alla solidarietà e la ricerca del buon sentimento, che tuttavia non ambisce ad appianare ogni divergenza e ogni increspatura. Non vuole, insomma, far cambiare a tutti i costi l’idea di certi personaggi ignoranti e aggressivi. Vuole più che altro ragionare sul fatto che questi individui ci sono, vivono tra di noi, hanno anche il diritto sacrosanto a professare il loro pensiero, e con i quali è quindi necessario coesistere e tentare un dialogo sano e maturo. Con alcuni, come la Sandrine di Sandrine Kiberlain, il duro lavoro è ripagato, scopre l’insegnante Joëlle Lesourd, ruolo che Delpy riserva per sé, quello del lume della ragione fattuale, riscontrabile, verificabile. Con altri, beh… si avrebbe voglia di arrivare a sferrare un catartico pugno in mezzo agli occhi.
Les Barbares prova allora a tracciare un affresco panoramico sul microcosmo di Paimpont, scendendo e risalendo tra i vari punti di vista dei suoi abitanti e della sua nuova famiglia acquisita, che il film è bravo a raccontare anche attraverso le perplessità, le spigolosità e ironie interne ai vari membri. Perché è anche in questo che sono proprio come tutti gli altri, oltre ad essere persone altamente istruite e qualificate – come moltissime, dopotutto, di quelle provenienti dalla Siria devastata dal conflitto civile.
Poi ancora Delpy costeggia il ruolo del femminile all’interno di questa società raccolta in scala, che a un certo punto tira per l’aria la tavola e scoperchia le dinamiche in cui per una ragione o per l’altra le donne del film sono costrette, di pari passo alla grettezza con la quale certi uomini contestano e si affannano a borbottare l’arrivo dei profughi. Come a dire, insomma, che dell’ignoranza e della stupidità sì, se ne può fare tutto un fascio, all’interno del quale non risulta difficile rintracciare i malanni e le storture del vivere comune. Les Barbares non ha quindi tra le mani pretese d’insegnamento o battere bacchetta sulle dita, solo rime di bontà e qualche bislacca presa in giro.