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Martina Barone
Missing: recensione del thriller sequel stand-alone di Searching
Tags: Missing, searching, sony pictures
Missing è un avvincente e misterioso thriller ricco di colpi di scena che fa riflettere su quanto bene conosciamo le persone a noi più vicine. Durante una vacanza in Colombia, una donna (Nia Long) scompare insieme al suo nuovo fidanzato. Sua figlia, June (Storm Reid), inizia a cercarla ma viene ostacolata dalla burocrazia internazionale.
Bloccata a migliaia di chilometri di distanza a Los Angeles, June utilizza in modo creativo tutte le ultime tecnologie a sua disposizione per cercare di ritrovarla prima che sia troppo tardi. Quando June scaverà a fondo con la sua investigazione digitale solleverà più domande che risposte e segreti su sua madre che le faranno scoprire di non averla mai conosciuta veramente.
Nel cast di Missing: Storm Reid, Joaquim de Almeida, Ken Leung, Amy Landecker, Daniel Henney, Nia Long
I device sono diventati i più utilizzati strumenti di ripresa. Siamo costantemente in scena: nelle nostre chiamate su FaceTime, durante le riunioni di IMeet, nei girati di telecamere posizionate negli angoli delle strade. Anche il nostro computer è una fonte inesauribile di possibili punti di ripresa. Possiamo utilizzare Facebook, Whatsapp, Skype, qualsiasi tipologia di app o social media. Per questo è così facile poter girarci un film. Come aveva dimostrato Searching e come si rivela in grado di fare Missing.
Sequel non diretto della pellicola del 2018, il lavoro originale di Aneesh Chaganty viene adattato a un nuovo caso ricostruito e investigato nella forma precedente che il regista e sceneggiatore aveva già collaudato. Affidandone la riuscita alla mano di Nick Johnson e Will Merrick, nonché alla loro regia, rimanendo solamente all’ideazione del soggetto assieme a Sev Ohanian, ma lasciando del tutto al timone la coppia di colleghi per un’opera che imita inevitabilmente Searching, discostandosene per il contenuto.
È infatti principalmente questa la grande differenza tra le pellicole, che altrimenti vengono assemblate in maniera pressoché identica, creando anche un collegamento ipertestuale tra i due film, vedendo all’inizio di Missing l’adattamento seriale dell’indagine svoltasi in Searching. Uno show che utilizza nel titolo il nome della precedente protagonista Margot Kim e che fa da passaggio di testimone tra le pellicole – oltre ad essere palesemente sulla piattaforma di Netflix. Un promettere di rispettare le regole che l’opera del 2018 aveva impostato, dimostrando di esserne in grado, mettendo in moto infatti la medesima adrenalina.
Per assurdo questo di Missing è insieme il suo più grande valore e il difetto più evidente. Se il film reimposta un altro altissimo tasso di coinvolgimento e di intrigo nei confronti della storia, ripresenta degli elementi che sono identici nelle due opere se messe a confronto. Una somiglianza che si manifesta soprattutto nel racconto e che lo vuole sorprendente e sempre pronto a riservare qualche nuovo colpo di scena.
Ma come può essere questo un tratto negativo per la pellicola? Il cui merito si può ritrovare proprio nell’aver scelto una narrazione piena di intuizioni e stravolgimenti che hanno saputo prendere dalla pellicola da cui discende, cercando poi dei risvolti personali. Di essere consapevole di avere degli standard da dover rispettare e saper creare una variazione sullo stesso tema. Riuscendoci e suscitando gran intrattenimento. Risultando così alla pari del suo predecessore.
Merito che va dall’aver mantenuti saldi alcuni principi narrativi del primo film, ma anche l’aver continuato a sperimentare con il mondo tecnologico e della rete, il quale da diverso tempo ha aperto la riflessione sulla fruizione dell’immagine, che sia questa reale o messa in scena. Domandarsi se si è capaci di rendere vera la finzione e saper fare anche viceversa, dando l’illusione di trovarsi di fronte a un’indagine che ognuno di noi potrebbe condurre solamente collegarsi al proprio pc.
Un mettersi al posto dei protagonisti: prima del padre David Kim di John Cho, ora in quello della figlia June di Storm Reid. Saper ricostruire la medesima struttura senza stancare, realizzando un thriller tesissimo che si svolge tutto solamente quando c’è una telecamera, e non quella della camera da presa.
Missing conferma che le variazioni sul tema possono funzionare se si ha una storia solida alle spalle e l’accortezza di saper piegare la contemporaneità a proprio favore. Di sfruttare le risorse del proprio tempo e renderle materiale di fruizione. Di saper riproporre una medesima soluzione, trasformandola in modo da farla sembrare inedita.