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Alessio Zuccari
Moon - Il panda: recensione del film di Gilles de Maistre
Tags: Gilles de Maistre, Moon - Il panda
Il cinema educativo per ragazzi è ben più facile a dirsi che a farsi. Un genere che spesso incappa in didascalismi e scivoloni, stramberie e metafore a buon mercato. A questo insieme appartiene anche il filone dei film che raccontano l’amicizia tra uomo e animale, l’incontro spesso inaspettato di bambini o adolescenti con fantastiche creature selvatiche con le quali instaurano un rapporto di quella che, queste pellicole, ci tengono sempre a chiamare “amicizia”. Opere che negli ultimi tempi rispondono a un nome in particolare, quello del regista francese Gilles de Maistre, autore negli ultimi cinque anni di piccoli successi come Mia e il leone bianco, Il lupo e il leone, Emma e il giaguaro nero, e che adesso torna nelle sale con Moon – Il panda.
Sostanzialmente un rimpasto della solita formula, che vuole personaggi-funzione al servizio di un racconto edificante sul senso del contatto con la natura. Allora la sceneggiatura di Prune de Maistre (moglie del regista, già in scrittura dei suoi precedenti lavori) comanda ruoli e posizionamenti specifici di una famiglia utile al perfetto melting pot produttivo – curioso come tutto sia piegato al parlare inglese, nonostante Moon – Il panda sia ambientato nella provincia di Sichuan, in Cina.
Al centro della storia una famiglia alle prese con alcune difficoltà di dialogo, con un padre ossessionato dal lavoro (Yé Liu), una madre chioccia (Alexandra Lamy), una nonna guru (Sylvia Chang), una figlia introversa e un figlio incompreso (Nina Liu Martane e Noé Liu Martane, figli di Yé Liu). È quest’ultimo, Tian, che durante una vacanza estiva dalla nonna si inoltra nella foresta e scopre viverci un cucciolo di panda, che ribattezza Moon. Con lui stringe un “legame” e si dimentica allora dell’ossessione per i videogiochi (sic!) e della pressione accademica alla quale lo costringe il padre, trascorrendo le sue giornate assieme al panda e reimparando cosa significhi stare all’aria aperta.
A questo punto, se si volesse anche tralasciare la morbosità con la quale è scritto il personaggio di Tian e con cui è raccontata la sua fascinazione per l’animale esotico, il grande problema di Moon – Il panda sta proprio nella premessa sulla quale basa i suoi precetti da buona parabola. Nonostante il giovane protagonista sia infatti redarguito in un paio di occasioni riguardo l’assoluto divieto di avvicinarsi a specie a rischio come lo sono i panda, tutto passa comunque in cavalleria rispetto alla necessità del film di trasmettere il senso di carineria e “cuteness” del paffuto e mangione animaletto.
Prima che l’intreccio (arduo definirlo tale) si addentri in una seconda parte di bislacca e improbabile avventura, la prima metà di Moon – Il panda è infatti un susseguirsi di tentativi del bambino di approcciare, coccolare, grattare, stringere, carezzare Moon, in un irrefrenabile impulso a fare dell’animale un coccoloso peluche e compagno di giochi.
Ecco, pare dunque quantomeno contraddittorio l’atteggiamento con il quale il film tratta la sua questione educativa, di gran lunga subordinata alla compiacenza del lato giocoso di tutta la questione con la scusante, di grande ambiguità, della ricerca di una “amicizia” fuori dall’ordinario. Ancora questa parola, che non fa altro che antropomorfizzare le categorie di rapporto tra uomo e natura piegandole al servizio del primo, barando su quali siano le condizioni di elogio del mondo selvatico e lasciando non poche idee confuse su quale sia la vera e necessaria distanza da adottare.