Top News, Film in uscita, Recensioni

0
Alessio Zuccari
Mufasa: Il re leone, recensione del film di Barry Jenkins
Tags: Aaron Pierre, barry jenkins, elodie, luca marinelli, Mufasa: Il re leone
Se Il re leone del 2019 aveva l’aspetto e la sostanza di un grande test tecnico, nonché commerciale, Mufasa: Il re leone è dove i giochi iniziano a farsi maturi. In regia non più Jon Favreau – l’uomo d’oro della compagnia, che transita tra franchise Disney, Marvel, Star Wars e tra i ruoli di creatore, regista, attore – ma Barry Jenkins, carta da novanta con cui giocare anche il blasone dell’Oscar serio, maturo, drammatico.
Non è certo un caso che nelle sue varie uscite pubbliche relative al lancio del film la linea sia stata quella del tracciare parallelismi tra Moonlight e questo prequel. Entrambe storie di giovani creature rimaste in qualche maniera in balia degli eventi, entrambe ambientate in un mondo ostile dove sensibilità e gentilezza sono sinonimi di debolezza. E Mufasa: Il re leone stavolta punta allora a espandere la propria mitologia scegliendo come protagonista il padre di Simba, il personaggio più saggio e retto di tutti.
Ci sono sin da subito i temi importanti della nostra contemporaneità. Una crisi climatica sullo sfondo, tesa negli opposti di un’estrema aridità e di estremi acquazzoni. Una situazione esasperata in cui la migrazione dei popoli è obbligata, alla ricerca di una terra verde e feconda al di là dell’orizzonte, il Milele. Fino a quando una feroce tempesta strappa il piccolo Mufasa dalle zampe dei propri genitori, facendolo capitombolare, da solo, chissà dove.
In questo dove incontra Taka, che con la complicità della madre Eshe lo porta dal proprio branco. Allora ecco che Mufasa: Il re leone introduce anche il concetto di famiglia allargata e acquisita, già alla base di uno dei più grandi blockbuster degli ultimi anni, Avatar – La via dell’acqua. Ma Obasi, il re di questa valle e padre di Taka, disprezza gli emarginati e lo relega a crescere con le femmine, mentre Mufasa e Taka diventano come fratelli e come fratelli diventano infine giovani adulti.
Perché quella sceneggiata da Jeff Nathanson è anche una storia di fraternità. Del figlio di un nessuno (doppiato in originale da Aaron Pierre, in italiano da Luca Marinelli) che stringe un legame con un erede al trono (Kelvin Harrison Jr., da noi Alberto Boubakar Malanchino). E con il quale si ritrova, di nuovo, a scappare. Perché a un certo punto il branco di Obasi viene minacciato da un gruppo di leoni emarginati, guidati dal feroce albino Kiros (Mads Mikkelsen, Dario Oppido).
In Mufasa: Il re leone è cruciale, in effetti, anche la questione dei villain. Una delle colonne portanti del cinema hollywoodiano degli ultimi dieci o quindici anni è infatti nella lettura di come il male non sia uno stato delle cose, ma un rapporto di causa-effetto. In una società come la nostra, annegata in una complessità informativa e interpretativa senza precedenti, non è compatibile l’idea di una malvagità intrinseca; ha sempre un’origine. Un limite forse all’invalicabilità del mistero drammaturgico, ma un segnale chiaro di come osserviamo (o più spesso come vorremmo osservare) il mondo che ci circonda.
C’è insomma una motivazione al perché Kiros e i suoi siano ricolmi di spietata acredine (l’essere stati scacciati perché albini, appunto). Ma ben più cruciale è come il film racconti il perché Taka diventerà uno dei villain per eccellenza, cioè l’odiato Scar de Il re leone del 1994. C’è di mezzo del sentimento per una leonessa che Mufasa e Taka incontrano durante il cammino, Sarabi (Tiffany Boone, qui Elodie), ci sono di mezzo gelosie su chi sia più nobile d’animo e chi invece di sangue, c’è di mezzo il coraggio e l’aspettativa che del coraggio si ha.
Attorno a questo Mufasa: Il re leone instaura un dramma in struttura archetipica, quasi stilizzata. Perché in fondo il film è narrato come se fosse una storia tramandata nei punti salienti per via orale – a noi, e a Kiara, figlia di Simba, la sta infatti raccontando Rafiki. Sotto questo profilo quella di Jenkins è sicuramente un’opera solida nei personaggi e nei rapporti che li legano, carica di pathos e impreziosita da una colonna sonora che riprende i tanti toni noti della saga e li aggiorna sotto le canzoni di Lin-Manuel Miranda e le musiche di Nicholas Britell con Dave Metzger – è, chiaramente, anche un musical.
Se c’è un limite, quel limite sta ancora una volta nell’animazione in fotorealismo. Con la quale si può scendere sicuramente a patti. E che altrettanto sicuramente può concedersi un’impressionante dimostrazione di forza muscolare, nel presentare cosa sia possibile fare e come sia possibile farlo. Ma è un’animazione che deve arrendersi all’evidenza di una permeabilità emotiva confinata. Il fotorealismo, trattandosi di animali, può spingersi nella modellazione dell’espressione fino ad un certo punto, oltre il quale si sfocia nel reame non confortevole dell’uncanny, cioè della stranezza, del disagio che insospettisce l’inconscio e lascia a distanza.
Ci sono passi in avanti rispetto alla riedizione in questa tecnica de Il re leone del 2019. Con anche una regia impegnata più a sottolineare il carico di sensazioni che spesa a fare showreel del potere tecnico messo in gioco – Jenkins lavora nel ricreare a ritroso cronologico una mitologia visiva. Eppure lo slancio si incaglia nell’oggettività riproduttiva cercata alla base della tecnica. L’espressività di questi personaggi, che sono leoni in procinto di diventare adulti, si inchioda nei volti occupati per tre quarti dai nasi dei felini che sono rigidi, fermi, una parte che blocca il viso e affida praticamente tutto al lavoro sugli occhi, con grande delega al doppiaggio. Meglio va con i cuccioli, che per fattezze più contenute permettono una maggiore libertà, quindi una più ampia gamma emotiva.
Insomma, in un caso come questo, molto più che in altri casi, sta all’occhio e alla sensibilità di chi guarda. Perché l’eccellenza è innegabile, ma è proprio in questa eccellenza che il compromesso è arduo da trovare. Per capire la bontà di tutto il resto di Mufasa: Il re leone viene allora incontro un gioco all’inverso: provate a immaginarvelo come un film d’animazione tradizionale. Ecco, forse lì, in testa, c’è un grande classico Disney che non vedremo mai.
Mufasa: Il re leone è al cinema dal 19 dicembre con The Walt Disney Company Italia.