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Napoli - New York: recensione del film di Gabriele Salvatores
Alessio Zuccari

Napoli - New York: recensione del film di Gabriele Salvatores

Tags: Antonio Guerra, Dea Lanzaro, gabriele salvatores, Napoli - New York, pierfrancesco favino
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Alessio Zuccari

Napoli - New York: recensione del film di Gabriele Salvatores

Tags: Antonio Guerra, Dea Lanzaro, gabriele salvatores, Napoli - New York, pierfrancesco favino

Il regista racconta una storia di migrazione con un racconto che fa la spola tra l’affaticata città partenopea e la capitale del sogno americano.

Sono già tre i film che nell’arco di un paio di mesi si sono avvicendati nelle strade di una Napoli immaginata nel suo secondo dopoguerra. I primi due sono passati in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2024, Il treno dei bambini di Cristina Comencini e Hey Joe di Claudio Giovannesi. La pellicola di Comencini attinge dalla disperazione e dalla povertà della città campana abbandonata alle macerie del passaggio del conflitto mondiale, dove un bambino viene spedito dalla madre indigente in un Nord Italia dove trovare conforto e ristoro. Il film di Giovannesi invece parte nel flashback del 1946, dove un soldato americano lascia un figlio in grembo a una ragazza prima di partire e ritornare solamente trent’anni dopo. E ora arriva nelle sale anche Napoli – New York di Gabriele Salvatores, opera che il regista premio Oscar scrive e dirige a partire da un soggetto scritto da Federico Fellini e Tullio Pinelli e ritrovato dopo decenni in un vecchio baule.

Un film di fibra umana e politica

Napoli - New York: recensione del film di Gabriele Salvatores
Photo Credits: 01 Distribution

Un lavoro con cui Salvatores accoglie cinematograficamente la Napoli dov’è nato, pescata sin dalla prima inquadratura in una disperazione che ha tolto tutto. Ma non la speranza, che è ciò che stringe ancora in pugno la piccola Celestina (una bravissima Dea Lanzaro) dopo che la palazzina in cui viveva è crollata portandosi via la zia, l’unico familiare rimastole. In pugno la stringe letteralmente: è la foto della sorella Agnese (Anna Lucia Pierro), emigrata nella ‘Nuova York’ anni prima e di cui da allora non ha avuto più notizie.

Così Celestina inizia a peregrinare senza una meta precisa per le strade di una città verace e che si arrabatta come può. È il 1949 e gli americani – che stanno iniziando quel lento processo di metamorfosi che in debito alla liberazione dal nazifascismo li renderà da salvatori a colonizzatori d’Italia; in questo c’è dialogo con Hey Joe – vagano come turisti tra le attrazioni folcloristiche stipate tra un muro crollato e un poveraccio cencioso. Una gioventù di facce toste allora se li lavora per bene tirandoli per la giacchetta, tra cui lo sfacciato Carmine (Antonio Guerra) che rimane però fregato dall’incontro con il cuoco George (Omar Benson Miller), di stanza sulla nave civile Victory.

Celestina ogni tanto lo aiuta in cambio di un po’ di cibo, e tra una cosa e l’altra entrambi finiscono a bordo della nave, che riparte prima che possano tornarsene sulla terraferma. Così Napoli -New York scandisce il secondo rintocco della sua storia, che dalla centralità di Napoli – davvero la città negli ultimi anni più cartografata dal cinema italiano dopo Roma, che eppure non è altrettanto indagata in quanto alle sue specificità – si sposta in questo viaggio per mare prima di approdare nella tanto sognata America. È in questa porzione centrale che Salvatores fa emergere il personaggio dell’ufficiale della nave Domenico Garofalo (Pierfrancesco Favino, in slancio da capocomico), ai quali i due ragazzini, senza permessi, tentano di sfuggire e in cui poi forse troveranno una figura di riferimento.

Ne emerge pure l’ossatura morale della sua opera: “Anche morire di fame è illegale” commenta Celestina, quando viene acciuffata e il capitano (Tomas Arana) le fa presente che è illegale viaggiare da clandestina. Un’evidente fibra politica (sebbene a carattere cubitale; ma giusto così) del film, che sarebbe poi nient’altro che di umana compassione. Anzi, ancor di più: di carità cristiana, sconosciuta a chi bacia croci in sede di comizio e se ne dimentica sullo scranno parlamentare, in un periodo oltretutto come quello che stiamo attraversando, in forte rincaro di invettiva nei confronti dello straniero, sulla quale pelle si gioca sempre la più sporca ed efficace partita, quella dell’odio.

Buone intenzioni corteggiate dalla retorica

Napoli - New York: recensione del film di Gabriele Salvatores
Photo Credits: 01 Distribution

Perché di fondo quella di Napoli – New York è una storia di migrazione e di fiducia nelle opportunità di questa migrazione. E quindi non può mancare anche lo scorcio su Ellis Island, il punto di approdo per i migranti italiani prima di essere dichiarati idonei per l’ingresso a New York, osservati letteralmente dall’alto in basso dagli ospiti di prima classe della Victory. Solo una delle prime insistenze retoriche in cui scade in particolar modo la terza porzione dell’opera, quella ambientata interamente nella metropoli statunitense, ricreata in teatri di scena in accordo a un’effettistica visiva sotto la supervisione di Victor Perez e che lavora decisamente meglio quando relegata negli sfondi lontani.

Per stessa ammissione di Salvatores, è la sezione maggiormente ripensata a partire dal manoscritto originale. Ed è anche quella che nel rovesciare l’originale pensiero di “eccessiva fiducia nel sogno americano”, così come dichiara il regista, si abbandona a un portamento bislacco della narrazione e dei suoi temi. Che rimangono quelli lì, già centrali nei due terzi che precedono l’approdo negli USA, ma che in questa Grande Mela di finzione, tutta cartelloni e slogan come ‘There’s no way like the American Way’, con il contraltare di graffiti del tipo ‘Broken promises’, trovano uno sfogo fiabesco con troppi livelli di sottolineatura.

Un po’ storia d’amore familiare, un po’ ragionamento sulla forza pervasiva dei media, un po’ addirittura film processuale. Tutto destinato a convergere nel ribadire un messaggio già chiaro, chiarissimo, capace quantomeno di non disperdere quella vena di piacevole umorismo che attraversa dall’inizio alla fine Napoli – New York, che guarda al pendolo tra amarezza e acre ironia della commedia all’italiana. Eppure qui la pellicola non è propriamente a fuoco per solidità narrativa, con scelte di regia che si fanno oltretutto frenetiche, a tratti quasi in nervosa goliardia – in proposito curiose le scelte musicali. Resta, in ogni caso, la bontà sincera di sguardo e intenzione.

Napoli – New York è al cinema dal 21 novembre con 01 Distribution.

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