Recensioni, Streaming, Top News
0
Martina Barone
Only Murders in the Building 3, recensione: che il trio del podcast true crime sia diventato ripetitivo?
Tags: meryl streep, only murders in the building, Selena Gomez
Il trio formato da Charles, Oliver e Mabel è l’evidente sostituto della signora Fletcher. Proprio come ne La signora in giallo, ovunque vadano i protagonisti di Only Murders in the Building, qualcuno muore.
Solo che il personaggio della scrittrice interpretata da Angela Lansbury si spostava un pochino di più rispetto a quelli della serie di Disney+, il cui palco degli omicidi è ancora una volta l’Arconia. O, al massimo, il teatro lì accanto.
Per la terza stagione della serie, in arrivo sulla piattaforma l’8 agosto, i protagonisti di Steve Martin, Martin Short e Selena Gomez si mettono sotto i riflettori pronti per risolvere un altro misfatto che, proprio come i precedenti, si snoda più o meno secondo indagini già consolidate. E che, forse proprio per questo, desta in chi lo sta guardando un costante senso di déjà-vu.
Only Murders in the Building 3, infatti, perde la sorpresa della prima stagione e stabilizza le dinamiche della seconda, non aggiungendo nulla di inedito, se non le attesissime new entry Meryl Streep e Paul Rudd.
L’entusiasmo è meno palpabile, proprio come lo percepisce Mabel/Selena Gomez. Spaesata dai vari cambiamenti che stanno modificando le direzioni della sua vita, costretta a lasciare presto l’appartamento che l’ha avvicinata ai due improbabili amici, la giovane si sente esattamente come lo spettatore. È confusa dalla disgregazione che sta subendo il gruppo, minima, ma evidente.
È smarrita di fronte all’abbandono che sente di star vivendo da parte di Charles/Steve Martin e Oliver/Martin Shot. Ed è normale che finisca per sentirsi inevitabilmente distratta, portata a valutare impieghi differenti rispetto al podcast amatoriale che ha insieme ai protagonisti, oltre che a svagarsi con un nuovo interesse amoroso (il terzo, in tre anni di serie tv, ripetitivi anche qui?).
Proprio come fa il personaggio di Gomez, anche lo spettatore cerca di tenere insieme ciò che apprezzava di Only Murders in the Building. Le battute continue, brevi e veloci. L’umorismo leggero, ma sempre perfettamente mirato. I tanti punti di svolta, costanti. E tutto questo c’è, non è assente, ma viene pian piano meno, proprio come quando i componenti di un team sono troppo presi da altro, e allora la loro complicità va disgregandosi lentamente, portandoli a perdersi. Ebbene, è quello che fa il pubblico di Only Murders in the Building.
Ovviamente la serie, creata da John Hoffman col suo protagonista Steve Martin, rimane sempre un delizioso pasticcino televisivo, che si consuma velocemente puntata dopo puntata – da controllare che non sia avvelenato, suggerisce sempre Mabel. O meglio ancora, pagina dopo pagina, come le letture estive dei gialli che ci intrattengono sotto l’ombrellone.
Allo stesso modo, Only Murders in the Building ha la capacità di spingerci in avanti nella ricerca dell’assassino, anche se la lente d’ingrandimento per le investigazioni risulta sfogata. Non ce ne vogliano Streep e Rudd, che si integrano comunque benissimo nelle trama intessuta dalla serie, diventando pedine per scoprire chi è il colpevole.
Lo show finisce quindi per essere proprio come quei podcast tanto divertivi da ascoltare, di cui si aspettavano gli episodi ogni settimana, e che grazie a uno stile semplice e confidenziale avevano saputo rendersi accattivanti. Quei medesimi podcast che, dopo innumerevoli ascolti, ci si è resi conto che, però, non è che avessero chissà quanto da dire. Una verità, l’essere a corto di idee, che probabilmente il teatro è in grado di celare. Ma la ripetitività, purtroppo, è davvero troppo facile da poter scovare.