L’attore premio Oscar è protagonista dell’opera di Tim Mielants in anteprima italiana alla Festa del Cinema di Roma 2024.
Dopo Oppenheimer, il fluviale ritratto di Christopher Nolan del padre della bomba atomica, Cillian Murphy torna alla sua Irlanda con Piccole cose come queste. Un film di freddo e di sporco sotto le unghie che il regista Tim Mielants interpreta nel rigore di una regia controllata, elegante, rivelatrice. Niente a che fare con il colossal storico che è valso a Murphy l’Oscar per il Miglior attore, bensì un racconto contenuto nelle tensioni e nei non detti di una piccola cittadina, quella di New Ross, che nasconde dietro la sua quiete profondi dolori.
Turbamenti indagati dalla sceneggiatura di Enda Walsh (autore anche di Hunger di Steve McQueen) a partire dal romanzo omonimo di Claire Keegan, in cui la quotidianità del mercante di carbone Bill Furlong (Murphy) è lentamente sconvolta da una scoperta che ne turba il sonno già precario. Un uomo che vive una vita di onesta fatica, immerso in una routine rigorosa, lontana da vizi, eccessi, distrazioni. Un uomo probo, insomma, perfetto ideale del cristiano retto e gratificato dal suo essere tale.
Come può un uomo riconoscersi

Allora il contrasto di Piccole cose come queste è chiaro. Come può continuare a vivere sereno un uomo – si badi: non un fanatico – se quella sua morale è intralciata dalla fede e dalla religione stessa che la professano? Bill non riesce infatti a guardare dall’altra parte quando scopre le sofferenze patite dalle ragazze che vivono nel convento locale sotto la direzione della madre superiora Maria (Emily Watson), che arriva a pagare Bill per mantenere un silenzio che invece tormenta l’uomo.
Da brividi quasi da horror il momento in cui il film di Mielants (che ha militato molto nella serialità britannica: Peaky Blinders, Tales from The Loop, The Terror) fa affacciare dentro questo convento, spazio oscuro, limbico, dall’aspetto di una prigione infestata dai dolori. E che segna in due un prima e un dopo per come Bill sta anche in famiglia. Per come si relazione alla moglie Eileen (Eileen Walsh), alle cinque figlie, alle altre persone del paese che si preparano all’avvicinarsi del momento cardine della cristianità durante l’anno, il Natale. Da cui provengono i suggerimenti di stare in silenzio, di abbassare lo testa, di ignorare le richieste di aiuto che arrivano addirittura a capitargli tra i piedi – quelle di Sarah, Zara Devlin.
Un film intero in uno sguardo

Piccole cose come queste lo fanno per il 90% gli occhi di Murphy. Sono sempre una porta su un altro mondo. Il film è tutto su di lui e sui suoi sguardi, sui piani d’ascolto, sulle riflessioni silenziose che squarciano le rette temporali del racconto e portano nei flashback dell’infanzia di Bill, dove si scopre del rapporto con la madre (Agnes O’Casey), cosa ne abbia condizionato la formazione e qualche radice della persona che è poi diventata.
“Continua a restare tra le persone giuste”, gli ripetono. Ma il conflitto del protagonista è proprio tra l’essere buono e giusto e l’essere furbo, il rinunciare a quello che ne caratterizza un’esistenza che il film asserraglia nell’umido e nel piovoso delle stradine notturne del paese, nella parziale incomprensione di chi vive con lui in una casa accogliente eppure di notte soffocante. Piccole cose come queste arriva dove arrivare con salda compostezza e lucidità, descrivendo una parabola che conferma la bravura (ma c’è davvero ancora da confermarla?) dal blockbuster al film d’autore di un interprete come Murphy.
Piccole cose come queste sarà al cinema dal 28 novembre con Teodora Film.
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