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Emanuela Bruschi
Piove: Paolo Strippoli si destreggia tra il dramma e l’horror
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La violenza, la rabbia improvvisa, il dramma famigliare: cosa si cela dietro ai casi di cronaca nera di cui leggiamo quotidianamente? Paolo Strippoli, enfant prodige del cinema horror italiano, ce lo racconta nel suo secondo lungometraggio: Piove.
Il film, presentato nella sezione Alice nella Città durante la 17esima Festa del Cinema di Roma, arriva nella Capitale dopo un viaggio che lo ha portato a prendere parte a importanti festival dedicati al cinema fantasy, arrivando oltreoceano al Fantastic Fest di Austin, fino al Sitges in Catalogna, passando per il Festival Européen du Film Fantastique di Strasburgo. Un percorso internazionale che consente al suo giovane creatore di proseguire il proprio cammino nel cinema di genere, iniziato insieme a Roberto De Feo con A Classic Horror Story, uno dei film italiani più visti sulla piattaforma Netflix.
Piove si svolge nelle periferie di Roma, tra palazzoni e cortili grigi. La città, durante i giorni di incessante pioggia, vede emergere dalle fognature una melma verdastra da cui è emanato un vapore soffocante, il quale, quando viene inspirato, funge da distruttore di ogni freno inibitore sulle persone, portando alla luce le emozioni represse e violente. In questa isteria collettiva incontriamo la famiglia Morel, formata da un padre vedovo, che, schiavo di lavori che lo impegnano giorno e notte, cerca di sbarcare il lunario per tenere unita la famiglia.
I due figli, Enrico (Francesco Gheghi) e Barbara (Aurora Menenti) sono costretti a convivere con i sentimenti di collera e rammarico che aleggiano tra loro, in seguito ad un tragico incidente che causò la morte della madre. Una situazione già tesa, dunque, che è destinata ad incupirsi scena dopo scena.
Da attento indagatore della nostra epoca, Strippoli dà vita a un vero e proprio trattato sociologico sulle nostre reazioni a un evento di portata globale e sul nostro rapporto con tutto ciò che sfugge alla nostra comprensione. È sorprendente notare oggi gli inquietanti punti di contatto fra il percorso della famiglia Morel e la realtà che stiamo vivendo, che per certi versi rendono la pellicola lo specchio dei nostri tempi. Come tutti i buoni racconti di genere, Piove funzionerebbe ancora senza gli elementi fantasy, in questo caso come una storia di lutto e di rassegnazione al dolore. Non sarebbe altrettanto violento o esasperato, ma funzionerebbe. Poiché l’arco narrativo della famiglia Morel è il filo conduttore della trama, il momento in cui la piccola Barbara ferma il fratello ed il padre, portandoli a capire che il loro conflitto li porterà all’autodistruzione, è drammaticamente efficace. È sempre un brivido vedere una famiglia che si riconcilia, ma a causa dell’enfasi sul dramma dei personaggi in tutto il film, la ricompensa è dieci volte maggiore (ed è accompagnata da uno dei più commoventi momenti in cui i tre si uniscono in un tenero abbraccio).
Effetti speciali senza strafare e molto ben confezionati, sceneggiatura che dialettizza personaggi indolenti e cafoni a indicazione geografica tipica romana, interpreti in stato di grazia – sia Francesco Gheghi, che regala al suo Enrico, in esubero, inadeguatezza e nonchalance, che Fabrizio Rongione, un padre disperato – per un approdo financo paradossale. Il futuro di Strippoli è roseo, come quello del ritrovato genere italiano.
In definitiva Piove è un gradito cambio di ritmo nel genere horror, dal suo nucleo emotivo e tenero fino al distinto obiettivo culturale. Si situa molto lontano dalle sfumature ormai omogeneizzate riscontrabili anche nei migliori prodotti di Hollywood, vantando una singolare fusione di stili. In parti uguali pulp e dark, ma anche grintoso dramma famigliare: esce bene da questa insolita combinazione, immergendo le dita dei suoi piedi in acque molto oscure ma mantenendo sempre un senso di umanità. Il film, distribuito da Fandango, uscirà in sala il 10 novembre.