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Cristiana Puntoriero
Regina Cleopatra: recensione della docu-serie Netflix
Tags: netflix, Recensione, serie tv
La produttrice esecutiva Jada Pinkett Smith presenta una docuserie sulla vita di note e leggendarie regine africane. Questa stagione si concentra sulla regina Cleopatra, la più famosa, potente e incompresa donna del mondo, oltre che una regina audace, la cui bellezza e legami amorosi finirono per oscurare il suo vero punto di forza: l’intelletto. Cleopatra è diventata un mito, costantemente arricchito e rivisitato nel corso della storia. Ora la nostra serie rivaluta la sua irresistibile storia, il suo genio politico e le problematiche relative al suo retaggio, che rimangono oggetto di molti dibattiti.
Per dovere di cronaca, prima di iniziare la nostra recensione della nuova docu-serie storica Regina Cleopatra, occorre brevemente ricapitolare l’enorme polemica che ha anticipato l’uscita su Netflix della serie prodotta da Jada Pinkett-Smith. Una volta rilasciate qualche settima fa le prime immagini promozionali e il consueto trailer, l’attenzione della stampa è caduta su un particolare fisico della protagonista non da poco: l’attrice scelta per interpretare la regina egizia più importante della Storia è Adele James, evidentemente, certamente dall’incarato afroamericano.
La cosa ha fatto rizzare i capelli a buona parte degli egiziani, soprattutto quelli sulla testa di alcuni storici ed esperti come l’archeologo ed egittologo Zahi Hawass, con un’accusa non proprio velata al colosso streaming di aver osato “falsificare i fatti” promuovendo quello che ora viene definito l’afrocentrismo, un movimento sociale e politico che asserisce “il primato della civiltà africana e postula il ritorno a valori tradizionali africani” (parola della Treccani). Un’ideologia, dunque, che intende rivalutare il contributo ‘originario’ della nascita della civiltà storiche, come appunto l’Egitto, attraverso la rivalutazione scientifica del ruolo primario dell’Africa.
Secondo questa teoria dunque, i faraoni erano neri e non di etnia greco macedone come si pensava fosse la stirpe tolemaica dalla quale proveniva Cleopatra, accendendo un dibattito che ha polarizzato l’opinione pubblica ed accademica, e che si rifà a una pratica ancor più agitata di questa, ovvero quella del blackwashing, l’usanza contemporanea di affidare il ruolo di un personaggio di un’etnia caucasica ad un’interprete black (vedi la Sirenetta di Halle Bailey, la Fata Campanellino di Yara Shahidi, la Fata Madrina di Cenerentola di Billy Porter). Una questione da gran malditesta e che ricorda per certi aspetti la diatriba sociale e critica cinematografica insieme, sull’attore etero che può o non può interpretare una persona gay.
A questo bersagliato blackwashing, Regina Cleopatra sembra in qualche modo rispondere all’imputazione di mancata fedeltà storica a pochi minuti dall’inizio del primo episodio. Attraverso la testimonianza fidata di alcune esperte, studiose, biografe e professoresse, la serie giustifica la scelta di rivedere il colore della pelle della sovrana mettendo in anticipo le mani avanti; sottolineando cioè come l’origine parentale della stessa sia tuttora un mistero non certificato, soprattutto quello che riguarda il sangue della madre di Cleopatra, forse egiziana pura a differenza del padre Tolomeo XII, faraone regnante fino alla morte nel 55 a.C.
Seguendo questa idea di ‘genealogia incerta’, Cleopatra può essere allora dipinta secondo gli occhi di la guarda – d’altronde, ogni rappresentazione artistica di quest’ultima è variegata e diversa rispetto a chi la sta re-immaginando.
Superato questo fardello doveroso, Regina Cleopatra serie tv non è nient’altro che un’agiografia in stile documentario Focus o episodio da sabato pomeriggio di Passaggio a Nord Ovest, in cui si ripercorre a grandi tratti i doveri, i dolori, le seduzioni e le congiure fratricide da palazzo della sovrana d’Egitto amante di Giulio Cesare e Marco Antonio, acutizzando però i tratti afro e girl power come ormai sa ben fare Netflix.
Attraverso il mal assortito incontro fra ricostruzione fittizia delle vicende raccontare sui libri di scuola e le repentine interruzioni delle voci e volti delle esperte di settore già nominate sopra, l’effetto della docu-serie è quella di un eccessivo e insostenibile appesantimento della fluidità di racconto, che falcia senza possibilità di scampo l’interesse dello spettatore, rendendo sempre più improbabile la possibilità di appassionarsi ad eventi di vita meno noti del personaggio in questione.
La scelta infatti di aver optato per un connubio meno banale della semplice serie biopic non ha ripagato affatto, ma anzi ha sortito l’effetto infelice e distraente di non disperdere e sprecare l’ attenzione che non sia solo cerebrale dell’abbonato. Tanto rumore per nulla: Regina Cleopatra si ferma al clamore mediatico dell’aver tentato l’atto coraggioso di riscrivere la Storia, generato un ping-pong di articoli e discussioni, denunce a Netflix e i soliti tweet. Ma tutto si ferma lì, forse specchio riflesso dei nostri tempi vuoti: al momento dei fatti poco rimane di concretamente rilevante di progetti pensati come rivoluzionari e iper-contemporanei.
Meglio un podcast di Barbero, almeno lì siamo sicuri di capirci qualcosa.