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Martina Barone
RoFF17 | Causeway: recensione del film con Jennifer Lawrence
Tags: causeway, jennifer lawrence, roff17
Jennifer Lawrence torna al cinema e lo fa con Causeway, film sulla parola e l’amicizia su AppleTV+ dal 4 novembre
Jennifer Lawrence torna alla recitazione dopo il suo momento di pausa. Una parentesi di riconciliazione con la propria vita e l’attenzione alla sua famiglia, che l’ha vista sposarsi e diventare mamma prima di tornare ancora una volta sullo schermo. Un periodo che le ha forse permesso anche di valutare bene le svolte che vorrà dare alla propria carriera, scegliendo un cinema di qualità che sappia evidenziarne quel talento di cui ha saputo dare ormai prova più volte, ma che la ponga in maniera coraggiosa e sfidante davanti alla camera da presa. Causeway ne è l’esempio più adatto, pellicola presentata in anteprima al Toronto International Film Festival che la vede affiancata dal caratterista Brian Tyree Henry, il quale dopo il salto di Atlanta e l’action frenetico di Bullet Train svela un suo lato malinconico e sensibile.
Una storia che arriva alla regista Lila Neugebauer (Maid) partendo dalla sceneggiatura di Elizabeth Sanders e Luke Goebel, a cui è andata aggiungendosi la scrittrice Ottessa Moshfegh nota per il romanzo cult Il mio anno di riposo e oblio del 2019. Una reduce della guerra in Afganistan saltata in aria mentre si recava ad una diga da dover controllare e rispedita a casa con una grave lesione celebrare. Una donna che ha cercato per tutta la sua esistenza di scappare da quel suo luogo di origine, preferendo tornare in territorio nemico pur di non dover restare, fin quando l’incontro col disponibile James (Brian Tyree Henry) non la metterà di fronte a dei disagi e a delle mancanze che riguardano solamente se stessa e non i continui posti che prova inutilmente a raggiungere.
Causeway è un film sul riflettere attorno alla propria personalità, la quale può venire fuori nell’incontro con l’altro e con la maniera in cui cerchiamo di instaurare un tipo di rapporto che possa rivelarsi autentico e sincero. Una congiunzione di affinità e fattori che portano gli individui a imbattersi l’uno nell’altro fin quando quel muro che innalziamo e mettiamo tra noi e il mondo non comincia a sgretolarsi, mostrando a chi abbiamo accanto chi siamo veramente. O, almeno, tentando di farlo. Il discorrere di sé, del proprio mestiere, della propria famiglia è il modo migliore per conoscersi e farsi conoscere, effettuando una cura terapeutica in cui l’antidoto è la parola.
I dialoghi di Causeway sono la riduzione all’osso di uno script che non ha bisogno di ghirigori – e nemmeno di silenzi – per far trasparire l’individualità dei suoi protagonisti e che diventa trascrizione conversata di come si percepiscono, come vengono percepiti e come vorrebbero che il mondo esterno li guardasse. Sono le chiacchiere di tutti i giorni a svelare gradualmente i personaggi, a esporli vicendevolmente mentre tentano di instaurare un’interazione che sia onesta e alla pari. Ed è anche dietro all’incrinatura della voce o ad una coniugazione dei verbi al passato che i protagonisti possono cogliere nell’altro delle crepe, le quali è inevitabile che vadano crollando, conducendoli così alla sincerità assoluta. Quella che non sempre esce fuori immediatamente, ma che è necessario urtare affinché possa trovare sfogo.
Nel bello dello stare in compagnia, apprezzando la semplicità di una chiacchierata o del tempo trascorso conversando insieme, in Causeway l’elaborazione dei traumi e il loro esprimerli ad alta voce è il trattamento giusto per ritrovare un minimo di pace, facendo dei disagi che si portano dentro un ammasso da condividere con qualcuno che sceglie di alleggerirne il peso.
È una scrittura essenziale che non è mai fuori posto, quadrata e cucita addosso ai personaggi, a cui è inevitabile sentirsi vicini. È la sintonia tra Jennifer Lawrence e Brian Tyree Henry che si tramuta in tensione e distensione a seconda delle scene che li incorniciano. Interpreti la cui carriera li ha portati a trovarsi, loro come i personaggi che impersonano, e che si rivelano in grado di alimentare in modo reciproco la propria presenza sulla scena. Un film in cui la domanda finale (“Vuoi essere mio amico?”) è davvero semplice come sembra. Anche se l’amicizia, così come aprirsi ad un’altra persona, è la cosa più seria che esista.