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Martina Barone
RoFF17 | Rapiniamo il Duce: recensione del film Netflix
Tags: netflix, Pietro Castellitto, Rapiniamo il Duce
Pietro Castellitto capeggia una squadra di squattrinati nel film Rapiniamo il Duce, dal 26 ottobre su Netflix
Poter cambiare la Storia è sempre stato uno dei più grandi doni mai stati fatti al cinema: tratteggiare nuove rotte, modificare svolte e nodi cruciali per l’umanità, generando finali diversi o ribaltando completamente il futuro come lo abbiamo conosciuto, partendo anche solo da un piccolo particolare rivisitato nel passato. Renato De Maria prende la Storia per giocare al suo guardie e ladri, dove sono quest’ultimi a farsi veri eroi in grado di stravolgere gli eventi, che questo avvenga volontariamente o meno. Un terreno fertile in una Milano del 1945 che vede il tesoro nascosto di Mussolini come malloppo da voler agguantare da parte di un gruppo squattrinato di delinquenti, una famiglia bislacca come il piano che hanno in mente di attuare, potendo dare tutta un’altra direzione alla loro vita.
Rapiniamo il Duce è la trovata Netflix sceneggiata dal regista stesso che, dopo aver sperimentato col genere poliziesco con Lo spietato, ha avuto il lascia passare sempre dalla piattaforma streaming anche per osare e avanzare di un passo ricostruendo un’ambientazione da Seconda Guerra Mondiale. Quella in cui i suoi protagonisti si muovono, vero e proprio team che nella più classica delle definizioni fa della pellicola un’operazione corale, che mette al centro le personalità e le abilità singole dei diversi malfattori capitanati da Pietro Castellitto.
Un palco che non è quello su cui si esibisce in solitaria Yvonne, nome d’arte per la cantante impersonata da Matilda De Angelis, ma un’autentica trincea con mitra e detonazioni in cui i protagonisti devono saper districarsi. Un incubo come quello di un conflitto internazionale che viene circoscritto in un tentativo matto e disperato – e forse realmente geniale – ideato per trarre da tutto quel dolore causato dagli scontri un minimo di stabilità, di pace. Il tipico colpo che può trasformare radicalmente l’esistenza ed è per questo che Isola (Castellitto) assieme al suo gruppo non può assolutamente rinunciarvi. Ma se l’uomo sa benissimo quant’è il valore di quell’oro, dovrà capire anche quanto ne ha per lui quello dei legami e della sicurezza dei suoi colleghi, soprattutto della donna che ama.
Se il punto dell’opera è quanto peso bisogna dare agli altri che ci stanno accanto, parlare di Rapiniamo il Duce senza citare Freaks Out rimane alquanto difficile. È certamente il periodo storico a condurre con la mente il pubblico all’operazione maestosa di Gabriele Mainetti, come è la banda di nullatenenti che in entrambi i film si fa protagonista e tra cui a comparire è ancora una volta lo smilzo Pietro Castellitto. Echi parziali, scollegati in assoluto tra loro, eppure che rendono impossibile non avanzare paragoni o somiglianze tra le pellicole, anche quando a conti fatti è alla sostanza delle due opere che si deve andare a guardare.
Pensato fin dal principio da Mainetti come un kolossal in cui alle capacità da supereroi del circo Mezza Piotta si andavano a scagliare le bruttezze insensate e crudeli dei nazisti, Freaks Out ha avuto una visione da parte del suo autore che sicuramente è stata altrettanto espansa anche per De Maria, ma che non ha raggiunto il medesimo impatto. In cui forse non ha creduto abbastanza una produzione che non ha davvero permesso all’autore di utilizzare i più adeguati attrezzi risultando un film meno esplosivo di quanto avrebbe voluto. Di quanto di sicuro è stato anche pensato in origine, ma che nonostante una messinscena apprezzabile non ha la grinta o l’audacia di buttare benzina sul fuoco che prova ad accendere, e che ha infiammato leggermente lo schermo spegnendosi però velocemente.
Dalle scenografie ben riprodotte e l’accuratezza dei costumi che sostiene le interpretazioni degli attori, in cui a emergere è un ogni qualvolta impeccabile Filippo Timi, Rapiniamo il Duce è quel tesoro a cui ci si avvicina al punto da poter essere acchiappato e che invece sfugge dalle mani. Un’altra occasione che dimostra che un altro tipo di cinema in Italia si può fare, ma che bisognerebbe saperci credere ancora un po’ di più.