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Alessio Zuccari
SOUNDTRACKS: abbiamo parlato con Claudio Insegno, regista dello spettacolo
Tags: Claudio Insegno, SOUNDTRACKS
Sta per arrivare nei teatri italiani SOUNDTRACKS, uno show musicale che celebra i più grandi compositori del cinema portando sul palcoscenico una raccolta di 40 colonne sonore tra le più celebri di sempre. Sotto la guida del compositore e direttore d’orchestra Paolo Annunziato, la Cinesymphony Orchestra, in collaborazione con Estemporanea Orchestra, trasporterà il pubblico in un viaggio sonoro che spazia da John Williams a Hans Zimmer, da Nino Rota ad Alan Silvestri.
SOUNDTRACKS sarà nei teatri italiani in quattro date a partire dal 30 novembre con l’apertura torinese al Teatro Colosseo. Ci sarà poi il turno di Brescia il 21 dicembre, al Teatro Dis_Play (Brixia Forum), quindi due date nel 2025, il 10 gennaio al Teatro del Verme di Milano e il 17 aprile al Teatro Lyrick di Assisi. Noi abbiamo raggiunto telefonicamente Claudio Insegno, regista teatrale di lungo corso che curerà la regia di SOUNDTRACKS e che ci ha parlato di cosa sono per lui la musica, le colonne sonore e lo stare a teatro con un pubblico dal vivo.
SOUNDTRACKS porta nei teatri le grandi colonne sonore del cinema mondiale. La domanda dalla quale partire non può che essere una: come le avete scelte?
Guarda, è stato molto difficile. Infatti con Paolo Annunziato abbiamo ragionato tantissimo, soprattutto lui che deve dirigere quaranta elementi d’orchestra, che non sono pochi. Io sono un amante delle colonne sonore, le colleziono addirittura, quindi mi ci trovo a mio agio e le conosco a fondo. Però per uno show dal vivo bisogna fare una scelta ben precisa per entrare immediatamente nel vivo di un’atmosfera. Quando fai sentire Nuovo Cinema Paradiso di Ennio Morricone sicuramente avrai novecento persone su mille che impazziscono per quella colonna sonora. Progetti come questi devono essere alla portata di tutti. Però la cosa bella è che siamo riusciti anche a fare scelte molto particolari. Per esempio abbiamo inserito The Mandalorian, che è una serie televisiva. La scelta è insomma stata orientata al cuore del pubblico, su quello che il pubblico vuole e che ama.
Hai detto che hai una passione personale per le colonne sonore. Com’è nata?
All’inizio con mio fratello Pino. Avevamo già cominciato a fare questo mestiere, quello degli attori, e amavamo tantissimo andare al cinema. Una volta siamo andati a vedere un film di James Bond, 007: Moonraker, e io sono impazzito per la colonna sonora. Mi capitò poi l’LP tra le mani e lo comprai. Da lì ci siamo detti, perché non lo facciamo con tutti i film di 007? E allora abbiamo capito che da Goldfinger in poi erano tutte dello stesso autore, John Barry. E di John Barry quindi abbiamo preso tutte le opere. Poi è stato il disastro assoluto, con la mia e la sua casa sommerse da CD e LP di colonne sonore che facevamo arrivare addirittura dall’estero. Una notte, a Londra, trovammo un negozio che aveva solo colonne sonore. Un mare d’oro da cui uscii con un carrello pieno, anche se non avevo i soldi per potermelo permettere. Una passione che conservo tutt’ora. Per me la vita dovrebbe essere sempre accompagnata da una colonna sonora.
Hai una carriera come regista teatrale oramai decennale. Qual è la responsabilità di una regia che è chiamata ad assecondare un’esperienza prettamente sonora e musicale?
Sicuramente quella di non annoiare visivamente. In questo momento mi sento più alla guida di una regia tecnica che di una regia attoriale, perché ovviamente non posso dirigere i musicisti. Io però devo fare in modo di far vedere qualcosa al pubblico che possa rimanere sia nel cervello che nel cuore. Mi trovo quindi a lavorare sul come sistemare in scena Luca Ward, che è il grande interprete della serata, e poi a gestire l’utilizzo delle luci, la scena. A cercare insomma di impacchettare nel migliore dei modi una cosa che potrebbe essere anche visibile così com’è, nuda e cruda, perché i concerti sono naturalmente visti anche con una luce fissa, non c’è bisogno di fare chissà che cosa. Però siccome si parla di cinema, ritengo che sia giusto cercare anche di enfatizzare ciò che si vede oltre a ciò che si ascolta.
Lo hai nominato tu, Luca Ward è la grande voce narrante scelta per accompagnare le colonne sonore con il proprio tratto distintivo. Con lui su cosa vi siete concentrati per ricreare questa sensazione cinematografica?
Con Luca siamo amici da tanto tempo e quindi ci siamo detti di infondere una certa verità recitativa al suo stare in presenza sul palco. Non è solo una voce, ma un esserci anche fisico. Quindi mi serviva muoverlo come se fosse un attore che recita al momento del film. La metto sulla cosa più banale: se suona la colonna sonora de Il Gladiatore, lui reciterà un pezzo tratto da quel film. Abbiamo insomma sfruttato la sua presenza sotto diverse sfaccettature, non solamente quella vocale. Anche se è un gran piacere anche il solo ascoltarlo.
Tra le tue regie ci sono anche molti musical. Un’esperienza che ti è tornata utile per approcciare questa differente messa in scena musicale?
Il musical è sempre utile, in tutto. Io vivo con la musica e anche quando dirigo uno spettacolo teatrale recitato penso sempre alla musica che ci va sopra. Adesso sto facendo uno spettacolo che si intitola Stanlio e Ollio, e anche lì c’è musica dall’inizio alla fine. Per me la musica dà ritmo a tutto quanto, e sono convinto che il pubblico così abbia più piacere e rimanga più accattivato. Questo mestiere lo facciamo anche per loro, che pagano, cercano parcheggio con la macchina, vengono e poi vanno a mangiare fuori. Spendono dei soldi per noi, quindi secondo me vanno anche ringraziati. E questa completezza offerta dalla musica è come ringraziarli ancora di più per la loro presenza.
Con un’orchestra dal vivo hai già avuto modo di lavorare in passato?
In tutti i musical che ho fatto c’era sempre un’orchestra dal vivo. È la parte più interessante, perché poi umanamente i membri dell’orchestra diventano un’unica persona. Vedi quaranta individui che suonano come se fosse uno solo, diretti da qualcuno ma uniti in questo viaggio insieme per fare la stessa cosa.
Hai un’esperienza anche al di fuori del palcoscenico, ad esempio nel cinema come attore e doppiatore. Ma poi alla fine sempre al teatro sei tornato.
Sì, sempre, perché è stato il primo amore trovato a 13 anni. Nel teatro ho investito tantissimo e con il teatro vorrei arrivare a chiudere la mia carriera. È quello che mi dà più soddisfazioni. Non faccio molto cinema, ma quando mi capita di farlo sento che mi manca quel contatto continuativo con gli attori, con lo stare loro vicino, con l’andarci a mangiare insieme. Che si fa anche con il cinema, certo, ma non è la stessa cosa. Alcuni attori cinematografici tu li vedi quel giorno e poi non li vedi più, invece al teatro li vedi sempre.
Da questo punto di vista è fondamentale anche la presenza del pubblico? Nei confronti degli spettatori provi più stimoli o responsabilità?
Certo, sempre! Li hai lì davanti e percepisci ogni loro sentimento, riesci a sentire il respiro e anche quando sono distratti dal telefono, quando è il momento di andarli a riconquistare. Ed è sicuramente uno stimolo, ma io mi sento anche responsabile di avere un pubblico che poi deve percepire bene lo spettacolo. Ma viceversa da quel pubblico trovo lo stimolo per fare le cose fatte bene, per andare avanti con il prossimo spettacolo e per fare ogni volta qualcosa di più accattivante. Non è certo facile, ma ci si prova in tutto e per tutto. Chissà, forse fino a quando avrò ottant’anni.
Tornando a SOUNDTRACKS: qual è la tua colonna sonora preferita all’interno dello spettacolo?
Ne ho diverse, ma forse la mia preferita in assoluto è la fanfara della 20th Century Fox, con cui apre lo spettacolo. Quando la sento, anche in un film, con quell’inizio iconico, vado fuori di testa perché capisco che sta iniziando qualcosa di molto bello. Anche se un film è brutto. Credo che Alfred Newman, il musicista, abbia inventato qualcosa che rimarrà per sempre. È il brivido che per me ha dato il via a tutto quanto.
E una che non è rientrata nella selezione dello spettacolo e che avresti voluto inserire?
C’è la colonna sonora di La La Land che pensavamo di inserire e alla quale alla fine abbiamo dovuto rinunciare. Mi dispiace non metterla più, perché anche quella mi trasportava in un mondo di sogni. Ed è pensata proprio per loro: i sognatori.
Foto in copertina di Pier Paolo Caporilli.