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Alessio Zuccari
42TFF | The Assessment, recensione del film di Fleur Fortuné
Tags: 42TFF, alicia vikander, Elizabeth Olsen, Fleur Fortuné, himesh patel, The Assessment
Futuro prossimo. Una frangia della società, quella dei fortunati, vive sotto un’enorme e invisibile cupola che garantisce aria pulita e acqua potabile. Cosa ci sia al di fuori The Assessment non ce lo mostra mai, ma ci dice che è un mondo diventato inospitale, radioattivo, sterile. Allora se si vuole tentare di avere una vita serena, occorre restare al sicuro in questa protezione. Ad un costo: non si possono più avere figli per decisione propria. Il contingentamento della natalità è drastico, e se si vuole ampliare la famiglia occorre superare una serie di durissimi test.
Il film di Fleur Fortuné, all’esordio della regia di un lungometraggio dopo un percorso nell’ambito dei videoclip, ci mostra una realtà distopica come tanti film ce l’hanno mostrata e sempre più ce la stanno mostrando negli ultimi anni. Pensiamo a due titoli eccellenti, come I figli degli uomini di Afonso Cuarón o The Road di John Hillcoat. Entrambe pellicole dall’origine letteraria, entrambe che immaginano un pianeta al collasso o collassato dove il futuro attraversa i concetti di figli e genitorialità.
E in entrambi, nonostante la cupezza del profondo nichilismo che pare percorrerli, si alza poi una fiaccola di speranza. The Assessment, scritto da Dave Thomas, Nell Garfath-Cox e John Donnelly, in qualche maniera fa invece un percorso di fiducia opposto. Al centro mette Mia (Elizabeth Olsen) e Aaryan (Himesh Patel), una delle miracolate coppie già solo nel fatto di aver avuto accesso alla possibilità di sostenere l’ultimo test previsto dal processo parentale. E che consiste nel vivere una settimana sotto osservazione di un supervisore, Virginia (Alicia Vikander).
Ma Virginia non si limita a constatare se i due possiedono i requisiti considerati adeguati all’ottenimento di un figlio. No, Virginia inizia a simulare l’essere una bambina, instaurando con Mia e Aaryan un rapporto che inizia a costeggiare il morboso in maniera progressiva e tagliente. In questo lasso di tempo (il film è scandito in sette giorni), The Assessment mescola riflessioni sul regime pervasivo del controllo e dello sguardo da parte dell’autorità, portando allo stremo la capacità di sopportazione della coppia e passando per la stimolazione della paranoia, che sfocia quasi in aperto sadismo e nella crudeltà psicologica.
Si capisce presto come il comportamento di Virginia, che esaspera il suo atteggiamento ben oltre qualsiasi limite potrebbe mai raggiungere anche il più insopportabile dei bambini, non rientra nella normalità del test. Le sue ragioni emergeranno poi, in maniera in realtà tardiva rispetto anche ad una prevedibilità a cui l’intreccio va incontro, che intercetta tutte le svolte alle quali una strutturazione drammaturgica come questa sembra essere destinata. Sarebbe a dire quella di un film quasi interamente ambientato in un unico luogo e con tre soli personaggi, tra cui cominciano ad albergare sospetti, dubbi, tentazioni e disequilibri nel rapporto di forza e fiducia che ne regolamenta le interazioni e le motivazioni.
Si svela la fragilità in gestione del racconto soprattutto nel momento in cui The Assessment deve cambiare parte della propria rotta d’impostazione nell’ultima porzione del film. Che, senza anticipare nulla, in qualche maniera spezza l’unità di tempi e luoghi che aveva allestito fino a quel momento e cede alla tentazione di spiegare molto, troppo, a parole. Scoprendo così una mediazione non proprio centratissima tra il meccanismo e la sua resa. Capace sicuramente di creare suggestione attraverso la maniera in cui lavora il reticolo di stress in cui inserisce i due potenziali genitori, ma di cui non coglie la possibilità di ragionare di finezza il ruolo di Virginia, per gran parte del tempo un vettore.
Oltretutto lasciando inesplorate profonde fascinazioni come lo è la stanza delle simulazioni alla quale lavora Aaryan. Un dispositivo terapeutico che elabora l’idea di un virtuale talmente evoluto da superare la soglia dell’intangibile e prossimo a raggiungere il confine che lo separa dal reale, cioè la capacità di farsi concreto, percepibile, esperenziabile attraverso il tatto e la sensazione corporea. È forse la vertigine che più intriga di The Assessment, che eppure sceglie di osservarla in maniera laterale e impennarla solo con pochi cenni nel finale, nel momento in cui suggerisce due esiti netti di fronte a una condizione drastica a cui il film va incontro. Il lavoro di Fortuné, diretta e pulita in regia, risulta insomma più intrigante che compiuto, quantomeno da annoverare come cinico esponente di quella distopia che osserva il presente e da cui proietta poi lunghe ombre.