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The Bear
Cristiana Puntoriero

The Bear Recensione: perché lo show su Disney+ è la serie dell'anno?

Tags: the bear, the bear disney plus, the bear recensione
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The Bear Recensione: perché lo show su Disney+ è la serie dell'anno?

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Con The Bear, il nuovo gioiellino targato FX e disponibile ora su Disney+, ci troviamo di fronte alla serie tv dell’anno? Scoprilo leggendo la nostra recensione!

Per dieci anni e undici stagioni è stato Lip, il secondogenito della disfunzionalissima famiglia Gallagher, protagonista assieme a Emmy Rossum e William H. Macy del dramedy su Showtime Shameless. Jeremy Allen White di talento e carisma ne ha da vendere, e proprio sulla questione ‘talento’ con il suo precedente personaggio ci aveva mostrato quanto, nonostante il QI e i voti rispettabili, se sei nato in un quartiere come quello del South Side di Chicago, una delle città americane con il più alto tasso di criminalità, e di conseguenza eri trascinato dal tuo ecosistema a prendere scelte sbagliate, venivi comunque risucchiato negli abissi della tua stessa originaria povertà, sia in termini economici, sia in quelli della tua più vicina comunità.

Con The Bear, il nuovo gioiellino targato FX e disponibile ora su Disney+, White sembra come far rivivere quello stesso meccanismo di genialità sprecata, stavolta nei panni sudaticci e macchiati di salsa di pomodoro dello chef dalle origini italiane Carmen “Carmy” Berzatto, tornato da poco nel ristornatino di famiglia dal suo precedente stellato lavoro a New York, nel quale deteneva una posizione decisamente migliore rispetto a quella in cui è ora, ma logorante per il suo benessere psicologico.

Fino ad allora gestito dal fratello maggiore Michael (Jon Bernthal), suicida per un problema di dipendenze a lungo nascosto, il The Original Beef of Chicagoland è stato mandato avanti per inerzia fra debiti e scarsa clientela, imprecazioni e disordini, sporcizia e tasse non pagate, così Carmy, coadiuvato (si fa per dire) dall’amico di una vita/cugino Richie (Ebon Moss-Bachrach), che di guai invece di risolverli li crea nel quotidiano, si fa dunque carico del ristorante, provando a miglioralo dall’interno, stimolando il personale a fare le cose per bene e provando a risanare fuori tempo massimo il rapporto interrotto col defunto fratello, espiando una colpa di silenzio che ancora lo tormenta.

Intreccio piuttosto ordinario del figliol prodigo e del caos interiore di una generazione incapace di comunicare i propri sentimenti, The Bear spicca soprattutto per la sua resa visivo-tensiva di quello che accade comunemente in una cucina, restituendo in un montaggio pressoché perfetto, tutto quel continuo tagliuzzare, sfrigolare, bollire, mantecare, rosolare delle succulente preparazioni, sporzionate all’interno di uno spazio angusto e irto di pericoli come quello delle squadrate postazioni in acciaio. Già dalla prima tagliente sequenza iniziale del pilot infatti, si percepisce subito che ciò che sia ha davanti è qualcosa di altamente ansiogeno, ritmato, ipercinetico, dove il ticchettio dell’orologio che mostra quanto poco manca all’arrivo dei clienti, catapulta in un attimo lo spettatore nel sistema caotico e faticosissimo del preparare il cibo in grandi quantità.

The Bear recensione

Non piantandosi tuttavia sulla superficie di un racconto puramente “immaginario” e “rappresentativo” della cousine e delle sue gerarchie soffocanti a tono “Sì, Chef!”, la creazione di Christopher Stoner è non solo una lettera d’amore a Chicago ma, tramite le atmosfere metropolitane di una città storica e affascinate, si fa naturalmente aderenza compassionevole alle fragilità e ai fallimenti umane, facendosi strada fra i perigli delle malattie mentali, degli attacchi di panico e del lutto, scoperchiando così, sotto tutto quel marasma pratico ed emozionale, l’importanza ritrovata della gentilezza.

Sembra infatti un miracolo vedere come i vari cuochi del The Original Beef, partiti nello scompigliato parapiglia iniziale, si ritrovino ora, sotto la guida di Carmy e della promettente new-entry Sydney, a ritrovare il gusto della calma, dell’esprimere l’amore per il proprio mestiere assaporandone la manualità e la creatività che da esso ne deriva.

Se dunque una delle esigenze primarie richieste in una (buona) serie tv è proprio quella dell’evoluzione graduale, di un arco narrativo in grado di sviluppare le potenzialità dei caratteri in scena, partiti in un ipotetico punto A e direzionati a raggiungere quello (migliore o più complesso) di B, ecco allora che The Bear coglie esattamente questa necessità, svelandoci nell’ordinarietà proletaria di una professione fisicamente e mentalmente gravosa come quella della piccola ristorazione, tutto un mondo di sopravvivenza giornaliera e ritrovata comunanza, amore per il cibo che poi è anche amore per gli altri. Perchè forse sono proprio loro i nuovi, veri eroi del nostro tempo.

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