Interviste
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Alessio Zuccari
The Creator, l'incontro con il regista del film Gareth Edwards
Tags: gareth edwards, the creator
Di Gareth Edwards si erano perse da un po’ di tempo le tracce. Il suo ultimo film risale al 2016 ed era stato un successone: Rogue One. Poi una lunga pausa. Ecco però il regista tornare a fare capolino con un altro imponente ed ambizioso progetto, The Creator. Edwards scrive il film assieme a Chris Weitz e lo configura come un thriller d’azione fantascientifico, ambientato durante una guerra tra esseri umani e l’esercito di un’intelligenza artificiale.
Nei panni del protagonista c’è John David Washington, un ex agente delle forze speciali chiamato a dare la caccia al Creatore, l’architetto dell’AI, ed intercettare un’arma capace di porre fine alle sorti della guerra. Al fianco di Washington ci sono anche Gemma Chan, Ken Watanabe, Sturgill Simpson e Madeleine Yuna Voyles.In attesa dell’arrivo di The Creator, in uscita nelle sale italiane il prossimo 28 settembre, abbiamo avuto modo di incontrare il regista del film che ci ha raccontato come nasce e come è stata realizzata questa sua ultima opera.
«Ci sono molti modi per spiegare da dove è nata l’idea» inizia a raccontare Edwards. «Ricordo molto chiaramente che avevo appena finito Star Wars e avevo bisogno di una pausa. Con la mia ragazza abbiamo deciso che saremmo andati a trovare i suoi genitori che vivono in Iowa. E ci siamo detti: “Ok, faremo un viaggio di quattro giorni”. E il bello di aver finito un film è che il tuo cervello, in un certo senso, cancella, formatta l’hard disk e all’improvviso ti ritrovi con una tela bianca. Non mi aspettavo di pensare al prossimo film o di avere delle idee. Mi sono messo delle cuffie e ho guardato fuori dalla finestra. E abbiamo attraversato questa specie di erba alta, una specie di terreno agricolo. E c’era questa fabbrica che aveva un logo che sembrava giapponese. Mi sono domandato cosa stessero facendo là dentro. Tipo, forse sono robot o qualcosa di figo. Ma poi ho pensato “immagina di essere un robot costruito in una fabbrica e di uscire dalla fabbrica per la prima volta”. Tutto ciò che hai sempre visto è stato all’interno di questo edificio. E poi all’improvviso vedi l’erba, gli alberi e il cielo. E ho pensato: “Oh, è un bel momento in un film”. La cosa ha continuato a tornarmi in mente per il resto del viaggio. Quando siamo arrivati a casa dei genitori della mia ragazza avevo già tracciato le basi dell’intero film, il che è davvero raro. Di solito si sta seduti dolorosamente per circa un anno cercando di mettere in testa un film. Così mi sono detto: “Forse c’è qualcosa in questo film. Forse questo dovrebbe essere il prossimo film».
Da qui parte la sfida di The Creator. Tra cui la scelta di girare il più possibile il film in spazi reali, vagando in cerca della giusta location in giro per il mondo e limitando l’utilizzo del green screen. «Normalmente, quando si fa un film come questo, si progetta il mondo, si fanno tutte queste belle opere d’arte.» racconta sempre il regista. «Ti dicono: “Non troverete mai un posto che assomigli a questo. Dovrete costruirlo in un palcoscenico. Costerà 200 milioni di dollari e lo girerete su schermo verde”. Ma se la troupe è abbastanza piccola, il costo della troupe è così basso che è più conveniente farla volare ovunque nel mondo che costruire un set. E così, improvvisamente, l’idea di scegliere ogni singola location migliore in base alla scena è diventata realtà. Abbiamo scelto i vulcani dell’Indonesia, i templi buddisti dell’Himalaya, le rovine della Cambogia, i villaggi galleggianti e tutto il resto. Siamo andati in otto paesi diversi e abbiamo girato il film in modo molto più come un film indipendente».
L’apporto dell’elaborazione digitale è stato comunque fondamentale. «Quando abbiamo finito di girare, avevamo a quel punto una una grossa fetta del budget per l’Industrial Light & Magic e per altri fornitori per montare il film. Abbiamo preso i fotogrammi di ogni inquadratura del film e li abbiamo dati al production designer e al concept artist. E quello che di solito accade un anno e mezzo prima
è avvenuto durante il montaggio. E loro dipingevano e progettavano tutta la fantascienza solo sulle inquadrature che stavamo utilizzando».
Dopotutto, quando Edwards tira in ballo la fantascienza sa di cosa parla anche perché di questa si nutre sin da quando è bambino. «Sono cresciuto con Guerre stellari e la promessa di un mondo fantastico
con astronavi e robot» racconta ancora Edwards. «Poi però ti rendi conto che non è vero e che è qualcosa che non succederà. Allora ho detto “diventerò un bugiardo come George Lucas e creerò queste storie con cui i bambini cresceranno”. Ma l’altra ragione principale è che il mio programma televisivo preferito da piccolo era Ai confini della realtà. Sapete, la serie televisiva in bianco e nero. E la cosa più bella di queste storie è che cambiano l’aspetto della vita reale.» Poi continua: «Ma quando si cambiano alcuni aspetti del mondo, come se un elemento venisse capovolto, qualunque esso sia, improvvisamente ci si rende conto che molte delle cose che si pensavano vere iniziano a non funzionare e a essere sbagliate. E ti fa mettere in discussione le tue convinzioni. E credo che questo sia il miglior tipo di fantascienza. E quindi è come se in questo caso usiamo l’IA come una sorta di metafora per le persone che sono diverse da te».
L’intelligenza artificiale non è protagonista solo del mondo di The Creator, ma oramai anche del nostro. «Ho iniziato a scrivere il film nel 2018 quando l’intelligenza artificiale era un qualcosa di pensabile come lo erano le auto volanti e la vita sulla luna» risponde Edwards, incalzato sull’argomento. «Sai, era come qualcosa che forse avresti visto nella tua vita, ma probabilmente no. Come ogni grande scoperta tecnologica che è avvenuta nell’ultimo secolo o giù di lì, come l’elettricità, i computer, internet, c’è un grosso ostacolo da superare. Ma dall’altra parte, quando la polvere finalmente si deposita, credo che tutti noi ci guardiamo indietro e pensiamo “sono contento di avere l’elettricità, sono contento di avere i computer, sono contento di avere internet”. E credo che questo sarà un altro strumento così potente
che aiuterà così tante cose nel mondo che credo che tutti noi noteremo come i lati positivi supereranno quelli negativi».
Infine, cosa ha convinto Edwards a scegliere Washington per il ruolo del protagonista? «C’è una tendenza in questo tipo di film a diventare un duro. Tu sei l’eroe e non devi mai mostrare alcuna debolezza e tutto questo genere di cose. E non mi piacciono molto quei film. Non mi sento mai vulnerabile per il personaggio. Quindi volevo vedere delle crepe nell’armatura e JD aveva fatto un sacco di film in cui
quando la gente lasciava la stanza e c’era solo lui, lui non sta bene. Che pianga o altro, è distrutto. Con le altre persone si comporta bene, ma è tutto, come dire, una facciata che si ripete spesso, come anche in tutti noi, in qualche misura. Per questo volevo un attore che non avesse paura di andare lì in quel modo. E a lui piaceva molto l’idea. E poi lui e Madeline sono diventati migliori amici. Lei è una ragazza molto silenziosa e timida. Ma JD ha decifrato il codice e per lei è diventato come un fratello maggior, un migliore amico. La loro è un’interpretazione molto emozionante».
The Creator è al cinema dal 28 settembre.