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The Crown 5
Martina Barone

The Crown 5, recensione: la stagione meno efficace della serie su Netflix?

Tags: netflix, the crown, the crown 5
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Martina Barone

The Crown 5, recensione: la stagione meno efficace della serie su Netflix?

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Sul poster della quinta stagione c’era una grossa crepa: che sia la stessa che ha attraversato la narrazione di The Crown?

Il sistema sta crollando. Lo preannunciavano le crepe che solcavano la parete dei poster della quinta stagione, una ferita umana riportata visivamente per mostrare la spaccatura all’interno dei personaggi che si espandeva poi anche all’intero nucleo famigliare. E regale. Ma in The Crown 5, forse per la prima volta, le incrinature cominciano a presentarsi anche nella storia stessa, nella complessità di un edificio seriale che aveva posato le fondamenta per rivelarsi la più maestosa e solida delle produzioni Netflix, iniziando a cedere sotto lo scricchiolio del peso e delle responsabilità.

Pressioni che una certa stampa estera non ha mancato di sottolineare, inveendo come si è sempre fatto nei confronti della monarchia, ma anche verso una difesa di quella figura per alcuni inglesi sacra – anzi, divina – e che nel prodotto ideato da Peter Morgan si è rivelata quanto mai umana e profana.

The Crown 5: segni di cedimento a Buckingham Palace?

La stanchezza che manifesta la quinta stagione di The Crown è perciò una verità su cui la serie medesima deve fare i conti, ma che al contempo, pur non necessaria se si vuole mantenere la tensione e la stima degli spettatori, si può notare come sia anche abbinabile al nuovo cambio di volti e al passaggio d’età che caratterizza il ritorno ogni due anni della serie. Dalla giovinezza di Claire Foy alla maturità di Olivia Colmar, la produzione pone sul capo di Imelda Staunton la corona della sovrana britannica e, con lei, vede un ulteriore passaggio a cui ogni personaggio è soggetto e che suggerisce la gravosità e l’avanzamento degli anni, non solo nelle fisicità e nei visi, delle pedine di Buckingham Palace.

Aspetto che perciò si addice al proseguimento di un racconto romanzato che prende però ispirazione dal tempo trascorso della storia moderna, di cui la famiglia reale fa e ha fatto parte. Anche un ammorbidimento, dunque, della grinta che la serie ha da sempre sferzato mettendo a segno ipocrisie e compromessi per mantenere la santità di un’istituzione come quella composta da una regina e da un re, palesando di più le proprie metafore e non agendo solamente nella maniera sibillina con cui si costituivano i ruoli e i giochi di potere. L’alleggerimento di molto di una stoffa e di una scorza le quali, pur rimanendo sostanzialmente dure, cominciano a palesare i primi accenni di cedimento tanto nei corridoi del palazzo d’oro, quanto in una narrazione che si adegua di conseguenza a questi imminenti cambiamenti. Una critica al sistema che diventa in The Crown evidenza stessa di un iniziale passo verso l’avvallamento di una storia che va affaticandosi, cercando di mantenere all’apparenza lo stesso splendore.

Monarchia, fede e matrimonio: la favola spezzata

The Crown 5
Credits: Netflix

Una combinazione, quella della produzione e del relativo racconto che contiene, che amplifica però proprio il concetto alla base della quinta stagione, rafforzandolo per assurdo lì dove sembrano esserci delle avvisaglie di sprofondamento. La rigidità che ha contraddistinto fin ora The Crown non può che essere uguale a quella di un decennio come i Novanta, i quali hanno stravolto la patina finto-favolistica che aveva avvolto la Corona fino ad allora, arrivando addirittura all’accettazione del divorzio da parte dell’agognante erede al trono Carlo e della sua principessa del popolo, Lady Diana.

Se la monarchia non era più la stessa ed anche i suoi sudditi ne riconoscevano la natura oramai obsoleta, allora così anche la quinta stagione si dirama cominciando a instaurare un dubbio nello spettatore, ad avere meno fascino perché più arrendevole, meno ficcante di come si era sempre trovata, sorpresi del suo ammollimento che va rappresentandola quasi più docile.

Scandalo a corte

the crown 5 recensione serie netflix 2
Credits: Netflix

E forse, in una maniera in cui rispecchia perfettamente il sentimento che continua a suscitare a tutt’oggi la Royal Family, questo suo essere melanconica e decadente è proprio l’attrattiva che continua a lasciare ammaliati della serie. Un incanto che, seppur sappiamo essere falso, tirato, osteggiato da più fronti e strettamente controllato, non ci permette di pensare a un mondo senza Regina (a cui però, il 2022, ha dovuto effettivamente dare il suo addio) e a una serialità senza The Crown.

Il principio della fine per una stagione che se impone ai suoi protagonisti di mostrare le rughe e il proprio essere fuori da un mondo in evoluzione, ne esplora le conflittualità di una roccaforte che deve cercare di aprirsi sempre più alla realtà da cui è rimasta per secoli distante. La monarchia che entra in una contemporaneità meno idealizzata e più scandalistica, quella dei paparazzi, delle chiamate sconce e degli occhioni tristi di Diana Spencer, con cui il futuro dei Windsor, per anni e nella prossima stagione, dovrà continuare a fare i conti.

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