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Roberta Panetta
The White Lotus 3 recensione: la satira sociale sbarca in Thailandia
Il cinema statunitense utilizza a intervalli regolari il suprematismo bianco come memorandum delle sue irrisolte contraddizioni interne. Nel 2018, ad esempio, BlacKkKlansman di Spike Lee si incuneava nell’infiammata società americana ad amministrazione Trump per discutere il razzismo sistemico sfruttando una caccia al Ku Klux Klan da parte di due poliziotti nel 1972. Oggi, The Order di Justin Kurzel assolve allo stesso identico scopo.
Il film diretto dal regista australiano, in Concorso al Festival di Venezia 2024, opera in una maniera estremamente simile. Fa un salto in avanti di dieci anni, nel 1983, si sposta in Idaho e lavora ancora con una coppia. Un agente dell’FBI, il Terry Husk di Jude Law, arriva nello stato per indagare su una serie di rapine in banca che potrebbero avere a che fare con una nuova fazione emancipata dall’Aryan Nations. Nell’omertà e nell’immobilismo generale trova il supporto di un giovane agente locale, Jamie (Tye Sheridan), che lo aiuta a risalire al leader Bob Mathews (Nicholas Hoult), realmente esistito.
D’altronde che il materiale di The Order, così si chiama pure il gruppo suprematista, sia sintetizzato a partire da eventi reali lo mette in sovraimpressione la didascalia in apertura del film scritto da Zach Baylin. Ecco, il nome dello sceneggiatore fa drizzare sull’attenti. Basta guardare alla sua biografia cinematografica, dal 2021 ad oggi, per farsi un’idea: King Richard, Creed III, Gran Turismo, Bob Marley: One Love, The Crow. Un gruppo di titoli che fanno tutt’altro che cascare dalla sedia, anzi lasciano un brivido di scetticismo. Non aspettatevi, insomma, un lavoro raffinato. The Order procede infatti dritto e senza sussulti per una strada che ha l’odore della ghiaia in uno sterrato già ben battuto.
La sceneggiatura, tratta dal libro The Silent Brotherhood di Kevin Flynn e Gary Gerhardt, è bignami in tutto e per tutto a marchio Hollywood. A partire dal detective protagonista, in perenne tormento personale che si fa eco dell’universale che gli si sbriciola attorno quando la regia di Kurzel passa dagli splendidi paesaggi in campo lungo al dettaglio del marciume che si annida tra le foreste dell’Idaho. Il personaggio di Husk vive poi nel paradosso di avere un interprete in ottima lettura del ruolo – Law non era così fascinoso da un po’ –, ma con un ruolo stesso che in realtà è scontornato piuttosto grezzamente nei topoi del genere e nello specchio, per niente efficace, con Mathews, in una misura più imposta che emersa lungo i rintocchi di un’indagine scandita con tono piano, inesploso.
The Order si concentra sulla messa in guardia, sul classico guardare al passato per leggere il presente. Ma dall’inizio alla fine si sottolinea e si mette in posa più del dovuto nel timore che il messaggio non arrivi alle orecchie forte e chiaro. Facciamo un esempio. Nel libriccino utilizzato dai membri della congregazione naonazista come pamphlet sul come rovesciare una nazione, chiamato I diari di Turner, in una delle pagine compare un’illustrazione di una rivolta davanti il Campidoglio di Washington. Chi non abbia tenuto la testa sotto la sabbia negli ultimi anni, quindi il pubblico di riferimento ideale di questo film, non fatica a fare il due più due nel filo rosso con l’assalto a Capitol Hill del gennaio 2021. Eppure i cartelli di coda di The Order sentono comunque la necessità di esplicitare la questione, cioè che in questo film si parla proprio di quella cosa lì e non di un’altra, stavolta mettendolo per iscritto.
La pellicola è pensata per intero in questa maniera. Non è mai sottile e nemmeno prova a mascherare il suo obiettivo sacrosanto, ma tremendamente programmatico. Ci sono scene dedicate a sottolineare per filo e per segno le storture, come a ribadire che non occorre lasciare davvero nulla all’immaginazione, o fosse solo al campo della dimensione interna del film. Si fa rassegna in punti del male di vivere degli USA, dalla piaga delle armi, con il loro facile accesso e il rapido metterle in braccio alla gioventù, ai rischi del conformismo sotto la guida di chi fa proselitismo d’odio. Che poi, The Order, un brutto film non lo è. Ma è frenato e incasellato da questo suo costante dichiararsi, mitigato solo dalla regia di un Kurzel sempre elegante, al quale manca da diverso tempo un progetto davvero all’altezza delle sue capacità.