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Alessio Zuccari
The Witcher 3, la recensione della terza stagione completa
Tags: henry cavill, netflix, the witcher
C’era una volta una volta The Witcher… ma c’è mai stata per davvero? Viene spontaneo chiederselo quando si osserva il decorso che questa serie ha avuto a partire dal 2019, anno di debutto su Netflix. Per la piattaforma streaming era un cavallo sul quale puntare. Il ricco mondo fantasy creato dalla penna di Andrzej Sapkowski, reso celebre soprattutto dalla fortunata saga videoludica, aveva tutte le carte in regola per essere la risposta al successo di una serie come Game of Thrones.
Ma le cose sono andate in malora abbastanza rapidamente, prima con i dubbi legati al casting di Henry Cavill come Geralt, l’amato protagonista, poi con l’effettiva resa delle prime due stagioni, alquanto incerte, sincopate, mai davvero in ritmo. Come se non bastasse, l’ultimo fulmine in un cielo già abbastanza tempestoso arriva a ridosso del rilascio della terza stagione, con l’annuncio dell’abbandono del progetto da parte di Cavill a partire dalla stagione successiva, con tanto di rimpiazzo già pronto, Liam Hemsworth. Proprio quando, con tanto di piccoli sforzi, la sua performance era riuscita ad accaparrarsi una piccola nicchia di sostenitori. Proprio quando, con lento e faticoso lavoro, The Witcher stava trovando una certa forma mentis.
Diciamo più o meno perché questa terza stagione, ancora una volta composta da otto episodi, migliora in solidità certi aspetti mantenendo comunque alcuni dei peccati originali della serie. Il lavoro supervisionato dalla showrunner Lauren Schmidt Hissrich non sembra mai davvero essere in grado di svincolarsi da problematiche comparse sin dal primo minuto. Su tutte la qualità di una narrazione il cui pathos è viziato da una diffusa sensazione di soap opera in chiave fantasy, con i toni adombrati da un melodramma verbosissimo, carico di sguardi intensi, di emozioni sospirate al lume di candela.
Arrivati a questo punto pare quasi un marchio di fabbrica, con il fuoco del racconto ancora più di prima sulla necessità di mettere in salvo la principessa Ciri (Freya Allan), ricercata da mezzo mondo e figlioccia della coppia disfunzionale Geralt – Yennefer (Anya Chalotra). Lo si prende insomma per quel che è, abituati oramai anche a un reparto costumi dove tutto è fresco di sartoria e pronto per la salita sul palcoscenico, così come anche a un’ironia che dovrebbe fare da contrappunto a quel pathos di cui si diceva e che si mescola invece in un cocktail letale da guilty pleasure.
Se tutto questo si trascina dietro l’eredità delle prime due stagioni, qualcosa in realtà migliora sul piano di quella che fu la criticatissima gestione degli eventi narrativi. Nonostante si abbia lungo il corso delle otto puntate la sensazione di non aver assistito a una vera e propria progressione in avanti, le cose cambiano, il mondo ruota, gli intrighi si infittiscono. Persiste un certo mal di mare nel descrivere con chiarezza dinamiche e rapporti, alcuni ancora troppo prolissi, altri sciacquati via con troppa rapidità, ma perlomeno riusciamo a sapere meglio dove siamo e cosa succede intorno.
E rimanendo dalle parti del “prendiamoci gusto”, si registra anche una rinnovata ricercatezza estetica per quella che è la rappresentazione dei duelli e dei numerosi scontri di Geralt con i mostri. Si punta ancora di più sull’effetto wow, su coreografie francamente ben riuscite in cui la regia si diverte a seguire la letale danza di morte dello strigo, in veri e propri momenti pirotecnici che quantomeno assolvono a dovere al senso d’intrattenimento.
Perché, in fondo, The Witcher sembra essere abbastanza consapevole di essere nata sotto una luna storta e di fare tremenda fatica nel mettere un piede davanti l’altro. Le contingenze come quelle dell’abbandono del protagonista nel cuore della serie di certo non aiutano e anzi forse segnano lo stato di salute del progetto.
Così si abbraccia la propria fragilità, ci si spinge più sulla forza della stramberia che in quella del credere al dramma – in quest’ottica uno dei personaggi che ne esce meglio è infatti è il Ranuncolo di Joey Batey, e infine si mette qualche toppa con una CGI sfruttata meglio rispetto al passato. Chiaro è che per The Witcher il futuro segna sempre una grande incognita, un tuffo in una corrente da risalire al contrario con il dubbio che lì sopra, forse, una sorgente in cui piantare la bandiera nemmeno c’è.