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Alessio Zuccari
Transformers - Il risveglio, la recensione del nuovo capitolo della saga
Tags: michael bay, steven caple jr., transformers - il risveglio
C’è scintilla nel petto di un Transformers dopo che Michael Bay, il Diavolo di Hollywood, ha deciso di accompagnare il franchise solo in veste di produttore? Ce lo siamo chiesti in molti prima dell’arrivo di Bumblebee, nel 2018, primo prequel della saga di robottoni su licenza Hasbro.
E quel film in effetti funzionava, ridimensionava il respiro, si faceva più intimo e andava a rifuggiarsi negli accoglienti Eighties cinematografici. C’è quindi scintilla anche in Transformers – Il risveglio, sequel del primo prequel che in qualche modo pare porsi anche come un ripensamento della saga? Ecco, parliamone.
Ancora una volta Bay si accomoda sulla poltroncina da produttore, mentre dietro la macchina da presa ci si mette Steven Caple Jr., reduce dall’esperienza di Creed II, a partire da una sceneggiatura firmata da Joby Harold, Darnell Metayer e Josh Peters. Dopo uno sbrigativo prologo ambientato indietro nei secoli che ci introduce nuove fazioni robotiche – Maximal, Predacon e Terrorcon – e una nuova minaccia che sembra campionata in maniera molto generica da un film Marvel – un dio-macchina divoratore di mondi minaccia l’esistenza di chi incontra sul suo cammino -, Transformers – Il risveglio ci schiaffa nella scintillante New York del 1994.
Le Torri Gemelle svettano ancora come più immediato significante di splendore e potere economico, Michael Jordan sta per tornare ai Chicago Bulls e nel frattempo si gode il successo della sua linea di scarpe, OJ Simpson sta affrontando il processo sotto gli occhi di tutto il mondo. Intanto, nei quartieri più poveri e all’ombra dei grattacieli, Noah (Anthony Ramos) è reduce da un’esperienza nell’esercito e fatica a trovare un lavoro nonostante la sua brillantezza. Si imbatte per una serie di coincidenze in Mirage, Autobot al seguito di Optimus Prime (ancora più severo e con i complessi del capo rispetto al solito), a causa del quale verrà invischiato assieme all’archeologa Elena (Dominque Fishback) in uno scontro secolare che potrebbe decretare le sorti dell’intero pianeta.
Sta qui il primo grande sbadiglio di Transformers – Il risveglio: dopo aver tastato il terreno con la giusta cautela come in Bumblebee, si torna subito a impennare la posta in gioco buttando sullo schermo un racconto di devastazione interplanetaria come tanti ne abbiamo visti negli ultimi anni. La sceneggiatura lo taglia per sommi capi, prova a raccontare qualcosa sul senso del riscatto e delle responsabilità, ma piega in modo troppo evidente i raccordi logici per portare intere sequenze a misura di umano e più che alla storia di per sé si interessa a introdurre i Primal, i nuovi personaggi con cui provare a rinverdire la saga (il sottotitolo originale del film è più eloquente del nostrano, Rise of the Beasts).
Appare insomma presto evidente come in questo Transformers – Il risveglio, più che nel passato del franchise, ci sia il chiaro intento di rafforzare la muscolatura sotto il profilo dello sfruttamento delle proprietà intellettuali. C’è odore di un nuovo cinematic universe? Lo lasciamo scoprire a voi, ma è su questo sentore che il film articola una dialettica dell’intrattenimento davvero povera.
Più che elementare in una struttura drammaturgica a cui poco si vuole chiedere ma che ancora meno restituisce, è poi sul lato del fuoco e fiamme che lo spettacolo offerto spiazza per la totale mancanza di inventiva visiva, gestione del ritmo e distanza dalla magniloquenza dei film di Bay, il cui stile può essere odiato da molti, ma che il metallo dei Transformers ha sempre saputo come scheggiarlo e accartocciarlo.
Transformers – Il risveglio si pone insomma come figlio di un tempo non suo. Punta a un effetto “wow” saturato sia sul fronte delle botte da orbi tra robot, di cui i cinque capitoli Bayani ci hanno già mostrato tutto, sia sul fronte dell’ampliamento della sua scuderia, in cui qualsiasi altro attore al di là della Marvel o della DC oggi restituisce la sensazione di un terribile fuori tempo massimo.
È un film gracile, la cui unica riflessione vagamente interessante – l’alleanza uomo-macchina, tema portante della saga che qui si fa concreta con una effettiva sintesi uomo-macchina – arriva tardi, quando gli sbadigli sono diventati due, tre, cinque, dieci e oramai si è rimandato tutto al prossimo appuntamento.