Top News, Film in uscita, Recensioni

0
Alessio Zuccari
Una figlia, recensione del film di Ivano De Matteo
Tags: Ginevra Francesconi, Ivano De Matteo, stefano accorsi, Una figlia
Non è la prima volta che nel cinema di Ivano Di Matteo si affrontano i demoni della comunicazione tra genitori e figli. Era un tema centrale del suo penultimo film, Mia, ma era centrale anche ne I nostri ragazzi, del 2014. Cosa succede quando un padre non capisce cosa c’è nella testa di chi gli abita in casa? Di Matteo torna a domandarselo in Una figlia, opera che il regista scrive assieme a Valentina Ferlan a partire da un soggetto liberamente ispirato dal libro Qualunque cosa accada di Ciro Noja.
Una pellicola che condivide un innesco distruttivo con un’altra narrazione che ha catalizzato la discussione in quest’ultimo periodo, la serie britannica Adolescence, le cui premesse sono certamente differenti ma che alla stessa maniera di Una figlia ragiona poi sull’adolescenza, sul senso di colpa, sulle conseguenze, sul depositarsi delle polveri dopo l’esplosione. C’è insomma una prova d’indagine sullo sgretolarsi di una certezza piccolo-borghese, sullo sfaldarsi del senso della famiglia per bene.
Ma se Adolescence aveva sguardo empatico su una società che si riscopre stordita dai divari generazionali che la attraversano, il lavoro di De Matteo ha un altro taglio. Parte da Pietro (Stefano Accorsi), vedovo e con una nuova relazione, che ha una figlia che va al liceo, Sofia (Ginevra Francesconi), la quale però con la matrigna (Thony) non si prende proprio. A un certo punto tutto collassa, in modo improvviso e fatale. Sofia si ritrova ad avere a che fare con qualcosa di più molto più grande di lei e Pietro si inabissa nel tormento sospeso tra rabbia e perdono.
Ed è a partire da qui che Una figlia sembra iniziare una disamina che dal privato si sposta sull’intervento del collettivo, illustrando da subito una diffusa freddezza burocratica anche di fronte a temi di particolare sensibilità, argomentazione indiretta su uno stato che agisce solo nella risoluzione e poco nella prevenzione e nell’educazione. Anche sentimentale ed emotiva, oggetto d’interesse sociale di cui se ne fa giustamente un gran parlare negli ultimi anni, necessario per intervenire nella formazione a monte di un’idea dello stare al mondo e del rispetto reciproco, a fronte dei numerosi casi di cronaca nera che coinvolgono proprio adolescenti e giovanissimi.
Ma si capisce in fretta come questo sia un tema incrociato più come collaterale, se non puramente un riflesso narrativo di un film che in realtà poi rientra in uno steccato più (comodamente) intimista, personale e personalistico. Allora anche nell’impianto artistico ridotto all’osso, in cui risiede una minima tentazione di leggere l’inseguire una trasparenza di sguardo sulla crudezza del racconto, cala l’ombra di una storia che man mano si dischiude come un pamphlet del trauma accumulato. Sofia in particolare si fa terminale delle cose brutte e scomode che possono capitare a qualcuno nella sua condizione, tra l’altro mascherate anche da maldestro simbolismo.
Una figlia si impantana insomma nello shock di cui vorrebbe farsi cruda analisi. In una certa misura potrebbe essere anche interessante lo stallo di elaborazione della perdita e della colpa in cui sono incastrati questi due personaggi. A conti fatti il film risulta però inerte, fermo in una zona di confine tra l’incapacità di sondare a fondo l’empatia e l’innalzarsi nella profondità lirica dei silenzi e dei primi piani di cui è disseminato. Su questa scia resta quantomeno positiva una risoluzione non del tutto conciliatoria, che apre sul finire a uno spazio di complessità in precedenza non davvero intercettato.